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Articolo pubblicato sul numero 237, 4/2021
ottobre-dicembre 2021

Raccontiamo noi l'inclusione. È come imparare a pedalare: cadi e ti rialzi

Daniele

Padre

Tipologia: Intervista


Penso che in un contesto di comunità Federico abbia delle potenzialità che noi dobbiamo essere in grado di sfruttare. Quali sono? Non lo so: bisogna cercarle, verificare quali potrebbero essere. Sinceramente non è facile, però è come imparare ad andare in bici: cadi e ti rialzi, finché non trovi la pedalata giusta. Sei sempre alla ricerca, sei sempre a modificare, a doverti inventare qualcosa di diverso che lo possa coinvolgere (Intervista a cura di Gloria Gagliardini)

Iniziamo questa intervista con Daniele, ricordandoci che l’obiettivo di questi racconti è andare a capire cosa vivono le persone, che sostegni, supporti hanno le famiglie di persone con disabilità, in una parola: come si vive.
Mi chiamo Daniele ho 48 anni, abito a Jesi, ho due figli: Federico del 2006 e Matilde del 2003. La sede del lavoro si trova in Ancona e tra il tempo di trasferimento e l’attività che svolgo a lavoro il tempo residuo lo dedico quasi completamente alla gestione dei figli. Federico frequenta il primo anno di scuola superiore ed ogni anno che ricomincia speri sempre di poter avere l’insegnante di sostegno adeguata alle necessità del ragazzo o di mantenere quella dell’anno appena concluso se è stata di vero aiuto. Ogni situazione è personale, chi fortunato chi no, ci vuole un po’ di fortuna nella vita: la persona giusta incontrata lungo la via, come ad esempio l’insegnante di sostegno. Non c’è una linea guida che dice “se fai così è giusto, è il percorso corretto”, il percorso corretto è difficile da individuare. Cerchi di raddrizzare la via, come quando giochi a bowling, sbatti a destra e a sinistra prima o poi devi arrivare in fondo per fare meta. Qua è uguale, un percorso che fai a mano a mano e vai avanti. Prendi sportellate, dove non sei riuscito ad ottenere qualcosa ti rialzi, come quando vai in bicicletta le prime volte: ti rialzi, ricominci da dove sei rimasto e riparti.
Ci puoi presentare Federico?
Federico ha 15 anni, ormai è un ragazzo, anche se fisicamente è già uomo, grande quanto me, muscoloso, molto atletico (dovuto anche a stereotipie che in certi frangenti lo consumano). È un ragazzo autistico, nello spettro dell’autismo è considerato un “autismo grave”.
Cerchiamo di praticare sempre un po’ di sport nel weekend, anche se debbo dire che non lo esalta molto, tuttavia lo ritengo importante per aumentare le capacità di coordinamento e come per la bicicletta equilibrio e stimoli sensoriali: vista, udito, ecc.
La prima diagnosi l’abbiamo avuta ad 1 anno e mezzo di vita, vedendo che il bambino non emetteva quasi nessun vocabolo, il pediatra ci ha subito indicato di fare qualche accertamento perché poteva avere un disturbo multifunzionale. Già da lì abbiamo capito che poteva trattarsi di spettro dell’autismo. Il bambino non era autonomo: non è che indicava con la mano l’oggetto che desiderava ma ti accompagnava a prenderlo. Non ti guardava mai in viso, non incrociava mai lo sguardo, non emetteva un vocabolo (dire papà o mamma). Noi avevamo Matilde e facevamo paragoni durante lo sviluppo. Federico era completamente diverso, dormiva poco, era molto attivo. Dopo 6 mesi di controlli pediatrici, all’età di 2 anni, ci hanno detto che il bambino aveva un disturbo multifunzionale del linguaggio che poteva far capire che fosse autistico.

Dicevi che adesso Federico ha la stazza di un uomo …
Sì, adesso Federico è un ragazzo alto e abbastanza autonomo, ha delle problematiche a relazionarsi, che cambiano a seconda delle persone che ha vicino: in ambienti e con persone nuove assume un comportamento di difesa e lo capiamo perché inizia ad accentuare le stereotipie, ad esempio quando entriamo in ambienti nuovi la prima cosa che faccio è mostrargli la toilette. A volte lo scopre da solo perché è grande, ma se gli dai qualche riferimento questo sicuramente lo tranquillizza. In questo periodo di sviluppo ormonale è stato necessario somministrargli alcune gocce quotidianamente che attenuano lo stato d’animo, permettendogli di poter ritornare ad essere il ragazzo sereno e presente nelle interazioni con i simili.

Come comunica Federico?
Federico comunica abitualmente con chi conosce (genitori, sorella, educatori) ha una comunicazione molto agevolata con il sistema Pecs 1 oppure indicando ciò che vuole. Il verbale lo usa solo su richiesta: esempio, la mattina facciamo colazione insieme e lui vuole un biscotto, nomina “biscotto”, lo dice perché ha un forte interesse ad ottenere quel biscotto. Se io voglio il biscotto e lo voglio mangiare so che lo devo richiedere altrimenti non lo ricevo. Tutta la sua vita è così, da quando era piccolo: esegue un’attività perché poi riceve gratificazione. Lo stesso vale per la scuola: faccio questa attività, finita l’attività l’educatore mi dà qualcosa che mi gratifica: una parte della merenda, un gioco, ciò che lo spinge a fare altre attività e ad emettere qualche vocabolo. E così è anche a casa, è una modalità che abbiamo tutti. Questo meccanismo ha prodotto un comportamento funzionale verso autonomie di base in ambienti familiari: lui sa che quando finisce di mangiare deve lavarsi le mani, per poi vedere i cartoni, oppure si deve lavare i denti prima di andare a dormire, svolgere sempre le stesse attività gli dà sicurezza. Federico ha bisogno di schemi predefiniti, ha bisogno che la giornata sia ben scandita, le improvvisazioni gli piacciono poco e possono creare un po’ di disagio. A casa si muove in serenità, perché conosce l’ambiente e le attività che dovrà svolgere, quali sono le competenze che deve avere e qual è il giusto comportamento.

In che modo questo evento (la scoperta della sua disabilità) ha portato cambiamento nella vostra vita?
Non lo so, sinceramente dire “se non fosse stato così cosa avrei fatto?” non saprei, non hai la possibilità di dire “riavvolgo il film e vediamo come potrebbe essere la vita senza l’autismo di Federico”. Sicuramente avrei avuto sempre un ruolo da genitore con la differenza è che ora mi sento un “genitore sempre vigile” come se avessi un ragazzo sempre alle prime armi, da supervisionare nelle sue attività perché comunque non so mai come potrebbe reagire. Senza l’autismo di Federico avrei avuto un’interazione diversa con lui, ma avrei avuto altri tipi di responsabilità che non sono quelle che ho oggi. Una sensazione grande che ho avuto quando aveva 2 anni, dopo la diagnosi, è stata la chiarezza che questo bambino non avrebbe avuto una vita normotipica. Il pensiero è andato a questo: “avrà bisogno di terapie tutta la vita”, “non sarà mai autonomo”; questi pensieri mi hanno disarmato. Mi sono reso conto che questo ragazzo non sarebbe mai stato autosufficiente, avrebbe avuto bisogno sempre di figure di riferimento, di una grossa attività guidata per poter contenere il suo disagio. Questo è stato lo scenario che mi è apparso sin da subito e che ancora oggi è presente.

In questi 15 anni quali sono stati i vostri sostegni? Familiari, dei servizi, amicali …
Un grosso contributo sono i nonni paterni che abitano nello stesso nostro comprensorio e quindi hanno un ruolo importante sia per Federico che per Matilde. Avere una spalla che può aiutare in alcuni frangenti è fondamentale e necessario. Federico ha dei legami molto forti. La nonna è la parte “alimentare”: se ha bisogno di qualcosa che soddisfi il bisogno di mangiare chiede alla nonna. Il nonno è la figura di riferimento per altre attività di svago, è anche molto più affettuoso con lui. La sorella invece è stata una delle colonne portanti nel nucleo familiare, di cui lui ha molta soggezione. Quando gli dà indicazioni le svolge, ne sente l’autorevolezza. Le figure di riferimento sono molto importanti per ragazzi come lui. Per quanto riguarda i servizi territoriali pubblici posso dire che la svolta è stato il sostegno avuto dalla presa in carico da parte della Neuropsichiatria infantile di Fano 2 con la dott.ssa Stoppioni; lì abbiamo avuto un risultato immediato per quello che riguardava le terapie ABA e le figure di riferimento professionali. Nella mia esperienza di genitore ho potuto osservare che fino ad una certa età il percorso con i servizi ad oggi presenti sul territorio è molto chiaro e gli operatori sono molto presenti, ma quando si arriva alla soglia dello sviluppo ho notato un calo di attenzione, soprattutto se non ci sono stati miglioramenti cognitivi importanti. Ad esempio: Federico oggi non ha molto bisogno di una rieducazione didattica “a tavolino”, ma di un’attività occupazionale perché se il risultato che si attendeva su alcune dimensioni cognitive non si è ottenuto inutile continuare, bisogna pensare a strutturare attività che riescano a portarlo il più possibile nel mondo dell’interazione con gli altri. È importante che le persone conoscano che ci sono anche queste situazioni di genitori che quotidianamente si portano sulle spalle il peso di tutte le difficoltà che il proprio figlio deve affrontare e quindi hanno un handicap, e da soli non sempre riescono a sopperire alle carenze strutturali della società.

Del percorso scolastico che vuoi raccontare?
Alle elementari ci siamo trovati malissimo perché tutti gli anni cambiavano le maestre di sostegno e quindi ogni inizio anno scolastico era sempre come se fosse il primo. In quel periodo non abbiamo trovato neanche operatori competenti: lui faceva 4 sedute a settimana al Centro Santo Stefano 3, una volta al mese andavamo a Fano, e anche a casa aveva le attività di 10 ore di terapia ABA. A scuola “era coperto” per tutte e 30 le ore, ma mancavano le competenze specifiche per lavorare con lui. Gli insegnanti non riuscivano a mettere in pratica le indicazioni e gli strumenti che l’équipe del Santo Stefano dava come propedeutica allo sviluppo, mentre alle medie abbiamo avuto la fortuna di avere un’insegnante di sostegno per l’intero periodo e con esperienze passate molto importanti. Sono stati anni di grande lavoro per Federico: essere riusciti comunque a stare dentro un’aula per poco tempo, dentro un istituto per 4/5 ore al giorno è stato un grande risultato. Oltre alla scuola abbiamo anche gli educatori della cooperativa.
Con la coordinatrice del servizio educativo ci siamo confrontati spesso sul tipo di competenze che servono agli operatori per lavorare con Federico, perché - come dico sempre - non tutti gli educatori sono uguali. Federico non deve essere “parcheggiato” per tante ore a settimana, quello che occorre è avere la qualità del lavoro, meglio qualcosina in meno ma persone che lo conoscono e riescono a fare un’attività insieme. Per alcuni anni abbiamo avuto la continuità educativa e questo è un vantaggio, perché gli educatori sono cresciuti con lui.

Mi sembra importante in quello che dici rispetto al valore delle competenze, che nel tuo caso è stato dato anche dal lavoro di supervisione del Santo Stefano. Come sarebbe stato se non aveste avuto questo riferimento?
Molto probabilmente non saremmo arrivati a questi risultati. È molto importante avere un supervisore, un coordinatore, un ente che mette a disposizione personale, è anche fondamentale avere un’unità sociosanitaria che funzioni, non solo per le attività, ma anche per dare a noi genitori indicazioni per esami, cure, terapie da fare. Nel mio vissuto ti assicuro che il ruolo più grande è sempre quello dei genitori, perché gli enti gestiscono tanti casi e non solo il tuo, quindi c’è un rischio di dispersione.
In questo contesto il mio ruolo è quello di coordinare le tante figure che ruotano attorno a mio figlio. Ho creato una chat WhatsApp di tutte le figure di riferimento, dalla scuola agli operatori a casa, dai genitori ai nonni fino all’unità multidisciplinare. L’abbiamo pensata perché ci eravamo accorti che le condivisioni che facevamo periodicamente non bastavano a capire i comportamenti di Federico. Questa condivisione per chat è come un piccolo diario che ci permette di osservarlo nella quotidianità. Da quando va a scuola a quando sta a casa, come è stato, cosa ha fatto, di cosa necessita e ognuno prende la parte di competenza.

Federico ha amici? La scuola è una fonte di relazioni in questo senso?
Federico per sua natura non instaura “amicizie” se non con i genitori, nonni e figure di riferimento. Secondo me i coetanei lo spaventano, il coetaneo adolescente ha degli atteggiamenti incontrollati, può alzare la voce, alzarsi di scatto, movimenti che lui non percepisce e non inquadra. Comunque nel tempo ho appurato che in una classe dove c’è un ragazzo disabile molti compagni capiscono le sue difficoltà e maturano molto prima rispetto ai loro simili, mettendosi a disposizione del bene comune.

Ora le superiori dove le frequenta?
Ora abbiamo iniziato l’Istituto Superiore indirizzo Agrario, presso la Villa Salvati di Pianello. Un contesto molto simile al contesto familiare (perché viviamo fuori città) dove ha i suoi spazi. A fine maggio avevo preso i contatti sia con l’Istituto di Jesi che con la coordinatrice degli insegnanti di sostegno e ci eravamo incontrati per programmare l’avvio di settembre.

Anche qui è tutto nato da te …
Non voglio prendermi dei meriti, ma è fondamentale che i genitori abbiano un grosso ruolo da questo punto di vista perché le istituzioni ci sono ma bisogna farle convergere, ti devi creare un po’ la strada. Dopo incontri con l’ASP 4 sono riuscito ad avere il servizio gratuito di trasporto da casa a scuola. Quindi da settembre Federico ha iniziato questa nuova esperienza, programmata in modo graduale. Abbiamo fatto un primo inserimento di 3 ore per una settimana, poi la seconda settimana ha fatto 4 ore, da oggi ha iniziato a fare 5 ore a settimana. Di solito, prima dell’inizio della scuola e dopo le vacanze di agosto, per abituarlo gradualmente ad avere un tempo più impegnato, didatticamente parlando, mi faccio carico di qualche ora in più di educatore domiciliare.

Senti di essere dentro un accompagnamento e un sostegno da parte dei servizi?
Quello che mi spaventa non è tanto adesso ma il futuro: non riesco a focalizzare il tipo di percorso che potrebbe esserci per lui. Non conosco bene l’organizzazione dei servizi e delle istituzioni dedicate alla fascia adulta, quello che mi spaventa molto è la fine della scuola, dopo questi 5 anni. Abbiamo scelto questa scuola per le attività all’aria aperta, dove Federico può avere maggiore libertà di spazi.
In realtà la campagna non lo entusiasma molto, pertanto la prima mezz’ora è di contrasto: lui che accentua le sue stereotipie e io che rimango indifferente richiamandolo all’ordine. Quando poi si calma iniziamo le attività e poi subito una gratificazione come rinforzo, tipo biscotti, pizza ecc.

Quanti insegnanti di sostegno ha?
Ne ha 3, più l’educatore che è lo stesso dell’anno scorso. A casa invece ha 8 ore di educativa domiciliare a settimana: 2 ore al giorno per 4 giorni.

Questo servizio a casa aiuta nella gestione familiare?
Non è un grosso aiuto da parte delle istituzioni, viste le ore a disposizione, tuttavia meglio non disprezzare.

Il tempo libero di Federico quindi come è?
Federico trascorre il tempo libero con le figure che ruotano intorno a lui e come tutti i ragazzi con il tablet o cellulare.

È bello ascoltarti, perché sei dentro un percorso che è ricco per quanto ci possano essere problematiche comunque c’è un contesto ricco di tante figure …
Vorrei che si arricchisse ancora di più. Per esempio questa estate lui era entrato in un progetto dell’Asp “Estate insieme”, che è stato un buco nell’acqua perché poi mi sono reso conto che non era un progetto adatto a lui. Fare un progetto per Federico significa pensare a delle attività dove il fulcro non può che essere lui stesso. Durante il periodo non scolastico come può un genitore in simili situazioni lavorare e gestire il figlio? Se non avessi avuto i nonni mi sarei trovato in forti difficoltà.

Mi fa pensare che le ore di educativa sono una “copertura” minima per le tante necessità che servirebbero e la complessità della situazione.
Dato il suo sviluppo fisico, Federico deve fare attività soprattutto occupazionali, e non solo all’interno di una stanza. Oggi con l’équipe siamo orientati verso questo progetto.

Dimmi un po’ della piscina …
Nella piscina comunale c’era un progetto di nuoto per ragazzi con disabilità ma non siamo riusciti a farlo rientrare perché a detta del coordinatore non c’era la disponibilità di una figura solo per lui e adatta a lui. Comunque tutti i sabati lo portavo da quando era più piccolo nella piscina vicino a casa, dato che era un forte stimolo e potevamo fare sport entrambi.

In questo anno e mezzo di pandemia, come avete vissuto con Federico?
È andato in DAD l’anno scorso da febbraio fino a maggio 2020 e non c’è stata proprio possibilità di farlo andare in presenza. È stato impegnativo perché comunque l’attività la faceva con noi, con gli educatori purtroppo all’inizio c’è stata una gran confusione non si capiva cosa si doveva fare. Fortunatamente dal 2021, quando c’è stata seconda ondata della DAD lui è potuto andare a scuola. Era l’unico presente nell’istituto. Poi c’è abbiamo dovuto fare un paio di quarantene cautelative, ma è andata bene.

Com’è la sensazione di non avere la scuola?
È stato pesante e difficile poi ricominciare a settembre. Per fortuna noi siamo in un contesto dove potevamo fare delle lunghe passeggiate, non abbiamo avvertito la sensazione che purtroppo in molti hanno patito.

E comunque lui non ha mai avuto un insegnante a casa?
No, sempre un educatore, con gli insegnanti invece ci si sentiva su WhatsApp, gli facevamo dei video e ci siamo collegati con loro tante volte per fortuna.

Famiglie che vivono situazioni simili alla tua di cosa hanno bisogno dal punto di vista dei sostegni?
Abbiamo bisogno di certezze riguardo al futuro dei nostri figli. Chi ha i figli normodotati pensa ad avere sempre delle certezze per i propri figli, che un domani possano vivere in un contesto di comunità ideale, che riescano ad ottenere un lavoro che gli piace, che possano costruire una famiglia… Per i figli con disabilità si chiede una vita serena per tutte le tappe della vita: adolescente, adulto e anziano. Io chiedo solo che mio figlio riesca a vivere in questa società nel miglior modo possibile per lui e che possa essere sempre contento e in salute, questo si chiede e quindi dove non arrivi tu che ci sia un sostegno da parte delle istituzioni.

Poterlo coinvolgere nella vita di tutti, questa è inclusione?
È difficile capire se per Federico è così, forse ora che sta crescendo stiamo vedendo che quando sta in certe situazioni nella società è gratificato. Stare nella società gli può anche piacere, però è importante che la società si renda conto che deve agire, ci sono delle persone come Federico che hanno bisogno di una mano.

Sappiamo che il disturbo dello spettro autistico va ad incappare proprio nella parte relazionale, comportamentale e comunicativa e va in difficoltà quindi l’idea che abbiamo di inclusione, perché magari una persona può avere tempi in cui predilige invece un rapporto individuale o il contesto necessità di modifiche …
Penso che in un contesto di comunità Federico ha delle potenzialità che noi dobbiamo essere in grado di sfruttare. Quali sono? Non lo so, bisogna cercarle, verificare quali potrebbero essere, quindi sinceramente non è facile, però è come imparare ad andare in bici: cadi e ti rialzi, finché non trovi la pedalata giusta.



1 Il PECS è un S2istema di comunicazione aumentativa/alternativa (Picture Exchange Communication System) La Comunicazione Aumentativa Alternativa  (CAA) è stata implementa per compensare i deficit in comunicazione funzionale e abilità linguistiche in soggetti con bisogni comunicativi complessi.  I sistemi di CAA hanno la funzione come un supplemento al discorso come un mezzo alternativo di comunicazione.

4 ASP - Azienda Servizi alla Persona, Ambito Territoriale 9, Jesi.


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