RIPENSARE I SERVIZI. Personalizzare gli interventi. L'introduzione Nel libro dello scorso anno, Non come prima. L’impatto della pandemia nelle Marche, avevamo analizzato gli effetti della pandemia sul sistema dei servizi nella nostra regione. A distanza di un anno proponiamo un nuovo approfondimento, avendo come riferimento una prospettiva più generale. Crediamo valga ancora quanto affermato nel giugno scorso: il coronavirus è stato il detonatore, che ha messo in luce la fragilità del sistema e la sua disfunzionalità. Mentre scriviamo questa presentazione siamo alle fine della seconda ondata. La domanda (e la preoccupazione) è se saremo capaci di accogliere gli insegnamenti di questi mesi, oppure, nella “foga della ripresa”, ci dimenticheremo in fretta quanto accaduto, attribuendolo ad una fatalità non prevedibile. Purtroppo temiamo che questa sia più di una possibilità. La necessità di “Ripensare i servizi” non nasce certo con l’avvento della pandemia. Le persone più avvertite e più attente da tempo hanno posto l’urgenza di un ripensamento delle politiche e degli interventi. La pandemia ci ha riproposto in maniera violenta l’urgenza del cambiamento. Cambiamento che chiede di declinare, attraverso la prassi affermazioni, come: “de-istituzionalizzare”, “sostenere la domiciliarità”, “centralità del progetto di vita”, “superamento del modello biomedico”; “territorialità dei servizi”, “benessere delle persone” e molto altro ancora. I contributi presenti in questo nuovo Quaderno, scritti a partire dalla fine della prima ondata, anche quando trattano temi diversi, argomentano la necessità di questo cambiamento. I primi due (Ragaini, Panizza), pur partendo da punti di osservazione diversi, riprendono temi molto cari al Gruppo Solidarietà: territorializzazione degli interventi, de-istituzionalizzazione e neo-istituzionalizzazione. I percorsi storici ci aiutano a capire come una forte mobilitazione dal basso abbia determinato percorsi di “restituzione alla comunità” di persone allontanate verso luoghi di custodia, ammantati di specialismo. E questa non è solo la storia dei manicomi, ma anche di molte strutture rivolte a persone con disabilità. Benché sia più forte la spinta dell’associazionismo delle persone con disabilità, perché venga rispettata la Convenzione delle Nazioni Unite, ratificata dall’Italia con la legge 18/2009, nella quale (art. 19) si riconosce il “diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone, e adottano misure efficaci ed adeguate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e la loro piena integrazione e partecipazione nella società (..)[1],continuano ancora oggi ad essere altrettanto forti le spinte alla neo- istituzionalizzazione, come ne dà conto il primo contributo. A fronte di percorsi riguardanti poche persone, centrati sulla effettiva personalizzazione degli interventi e dunque sul benessere delle persone, nella ordinarietà continuano a svilupparsi modelli istituzionalizzanti, supportati, troppo spesso, da organizzazioni profit e, purtroppo anche non profit, che sposano la cosiddetta efficienza gestionale ed il suo mix di “moduli” e “nuclei”, che nulla hanno in comune con la dimensione dell’abitare. Configurano piuttosto luoghi di passaggio permanente, in cui le persone transitano in alcune fasi della vita. Poi, quando qualche “scala di valutazione” registra un cambiamento, ecco che si programmano spostamenti di … “piano”. Così viene interpretata la parola magica: “sostenibilità”, declinata sempre in termini finanziari e mai legata alla qualità di vita. Rispetto a ciò, le istituzioni, in particolare quelle regionali, si caratterizzano per la loro distrazione. E se qualche orizzonte sembra aprirsi per le persone con disabilità, le persone anziane, nell’ultima fase della vita, sembrano destinate ad una progressiva ed immeritata spersonalizzazione dei sostegni e dei servizi. Altrettanto cara al Gruppo è la riflessione sul ruolo del volontariato, e più in generale del terzo settore, su cui il contributo di Panizza, in particolare, si sofferma. Si può accettare e concepire che organizzazioni del terzo settore non siano impegnate in percorsi territoriali, di de-istituzionalizzazione, di lotta per il riconoscimento di dignità delle persone? Non sono esperienze che nascono all’interno delle comunità con un forte legame con il territorio? Quando questo accade, evidentemente, la forma giuridica non assume significato valoriale. Queste organizzazioni, nella prassi, sono e divengono uno strumento del mercato, volto principalmente alla calmierizzazione dei costi. In realtà questi primi contributi ben si integrano con i quattro successivi (Censi, Fazzi, Zuppiroli Dirindin). Scritti in fasi diverse della pandemia, riprendono una delle questioni più tragiche e dolorose emerse: la situazione degli anziani e, in particolare, dei servizi residenziali rivolti a quelli non autosufficienti. Contagi, decessi (che ancora non siamo riusciti a contare in maniera certa, a conferma dell’invisibilità di queste persone), solitudini e isolamenti hanno portato per un periodo all’attenzione di tutti la condizione dell’assistenza residenziale in Italia. Un sistema di servizi che neanche le istituzioni centrali conoscevano, e che forse neanche oggi conoscono: basti vedere le difficoltà nella realizzazione di report attendibili (peraltro terminati nel maggio 2020) riguardanti queste strutture. Ma il cuore del ragionamento riguarda il funzionamento di questi servizi e i loro modelli di riferimento. D’altra parte se ancora oggi, ad oltre due anni dall’inizio della pandemia ed a qualche mese dalla fine formale dell’emergenza, nella gran parte delle strutture in Italia sembra ancora lontano un segnale di avvicinamento alla normalità (visite ancora cadenzate sulla settimana, in alcuni casi ancora evitato il contatto fisico, ecc..), evidentemente è ancora fortissima l’inconsapevolezza sugli effetti dell’isolamento e della mancanza di relazioni e affetti. Molti di questi luoghi attendono, evidentemente, una rigenerazione. Gli ultimi articoli (Giancaterina, Gagliardini, Medeghini e collaboratori) hanno tutti un focus sui temi della disabilità e rendono ben ragione del titolo “Ripensare i servizi”. Si tratta di un’urgenza particolarmente avvertita (vedi anche i contributi di un nostro precedente libro, Persone con disabilità. Politiche, sostegni, interventi, servizi, 2020), che il periodo pandemico ha ancora con più forza evidenziato. C’è urgenza di rivedere modelli, luoghi, approcci. Ma soprattutto di evitare che a parole nuove corrispondano vecchie prassi. La fase attuale può forse contenere l’opportunità per innescare cambiamenti ineludibili, se riusciamo ad affrontare a viso aperto le contraddizioni di un sistema di offerta, che non è chiaramente più adeguato a tutelare adeguatamente la vita delle persone. Sono processi di cambiamento, che affrontano forti resistenze, nutrite di consuetudini e inerzie, ma che sono inevitabili, pena l’irreversibilità ed il progressivo peggioramento del sistema stesso. Questo libro vuole essere un contributo in questa direzione Gruppo Solidarietà Maggio 2022 [1] “assicurando che (a) le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione; (b) le persone con disabilità abbiano accesso ad una serie di servizi a domicilio o residenziali e ad altri servizi sociali di sostegno, compresa l’assistenza personale necessaria per consentire loro di vivere nella società e di inserirvisi e impedire che siano isolate o vittime di segregazione; (c) i servizi e le strutture sociali destinate a tutta la popolazione siano messe a disposizione, su base di uguaglianza con gli altri, delle persone con disabilità e siano adattate ai loro bisogni”. Le altre pubblicazioni del Gruppo Solidarietà. Il 1° luglio 2022 lo presenteremo alla Biblioteca La Fornace a Moie di Maiolati. Si confronteranno: Fausto Giancaterina, Giacomo Panizza, Fabio Ragaini.