Data di pubblicazione: 14/05/2023
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Riflessioni sul decreto legge sull’assegno di inclusione

Nel contesto della complessa definizione delle politiche sociali  nel nostro paese, si è assistito ad un processo che fino agli anni ’70  era caratterizzato dalla “entificazione del bisogno” e dalla promozione della “stagnazione assistenziale”, in assoluto  contrasto con quanto previsto dalla Costituzione. La condizione di bisogno e di povertà era trattata  da circa 45.000  enti assistenziali, nazionali e locali,  ognuno con una propria fetta di assistiti, a cui corrispondeva, per l’assistenza generica, l’Ente Comunale di Assistenza, con l’erogazione di beni in natura o con assegni continuativi  o straordinari, in relazione alla verificata ed accertata condizione di povertà dei richiedenti, in assoluta discrezionalità da parte degli operatori. La svolta decisiva per il superamento di una situazione assolutamente critica e non più in linea con il dettato costituzionale, in cui veniva profilato uno  Stato sociale nuovo - svincolato dalla burocrazia, universale, promotore di  opportunità e di realizzazione piena del cittadino, basato sul principio della sussidiarietà verticale (il cittadino vede nel comune il livello più prossimo alle sue esigenze, che deve essere quindi messo nelle condizioni di dare risposte incisive ed esaurienti)  e della sussidiarietà orizzontale per come si esprime nella società civile – fu determinato dall’ avvio delle Regioni e dal DPR n. 616/1977. Sul tema vedi: Riforma del Reddito di cittadinanza: chi è protetto e chi no - Verso l’Assegno di Inclusione: un passo indietro di 5 anni.

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