Persone con disabilità e servizi nell'ATS 9. Alcune tracce per un cambiamento
Il 19 novembre si è svolto un incontro nel quale l’ASP Ambito 9 ha presentato la bozza di documento riguardante il capitolo “disabilità” del Profilo di comunità. Di seguito il documento redatto dal Gruppo Solidarietà.
Il documento che segue non ha evidentemente alcun carattere esaustivo, ma intende indicare, dal nostro punto di osservazione, alcuni aspetti del nostro sistema dei servizi, che riteniamo necessario siano ripensati e ricollocati in un’offerta complessivamente più attenta ai diritti ed ai bisogni delle persone in situazione di disabilità.
Riteniamo comunque imprescindibile un punto specifico: se vogliamo cercare di analizzare e comprendere cosa chiedono le persone, e come si collocano, rispetto a ciò, quelli che chiamiamo servizi, occorre strutturare dei percorsi di confronto, coinvolgendo tutti gli attori (formali ed informali). Crediamo siano un compito ed una responsabilità che ASP è chiamata ad assumere con convinzione e determinazione. Alcuni aspetti che qui sono solo accennati sono stati più compiutamente trattati nel nostro intervento (e negli altri contributi richiamati) al seminario promosso da ASP il 14 novembre 2019.
Il contributo vuole mettere in luce alcuni punti e provare a tracciare riflessioni riguardo al sistema di servizi e interventi attuati nell’Ambito territoriale 9.
Partiamo dalla domanda: quali sono i cambiamenti e gli orizzonti verso i quali dovremmo tendere, per rileggere e in qualche modo ripensare l’impianto complessivo dei nostri interventi, così da avere come riferimento, sia la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, ma anche i contenuti degli ultimi due Piani di azione governativi? Tradurre questo quesito in programmazione territoriale significa definire anzitutto quali modelli di progettazione dei servizi sono ormai superati (modelli orientati all’assistenzialismo e all’istituzionalizzazione) e riconoscere, dandone valore, servizi e interventi inclusivi, che promuovono la partecipazione delle persone con disabilità e delle famiglie, riconoscendone il diritto di piena cittadinanza. Passare, quindi, dalla logica dei bisogni alla logica dei diritti.
Possiamo delineare due grandi linee di intervento: quella che si riferisce ai minori con disabilità e quella rivolta ai giovani adulti e che prosegue poi fino all’età anziana. Se ci assumiamo la responsabilità di uno sguardo rivolto alle persone e non alle disabilità (che sono la conseguenza di un rapporto non funzionale tra persona e contesto), si evince che non andremo a programmare servizi che compensano la disabilità, ma lavoreremo per supportare anzitutto contesti inclusivi e, con loro, le persone, tenendo ferma un’ottica di intervento globale e collettiva.
Sarà quindi impossibile lavorare col singolo, senza coinvolgere la comunità e sarebbe anche poco sensato considerare l’inserimento nel territorio l’obiettivo di un progetto educativo, perché il territorio stesso è lo strumento d’inclusione, che va quindi tradotto in concrete e valutabili attività, realizzate in contesti e situazioni con una loro specificità e funzionamento (la società sportiva, l’impresa in cui si svolge un tirocinio formativo, l’azienda agricola, ecc …).
Arderemo dunque, a fine progettualità, dal desiderio di capire e verificare quale è stato l’effettivo impatto dei percorsi, rispetto ai diritti delle persone ed ai reali percorsi inclusivi. Ci sembra, dunque, opportuno trovare strumenti validati per “misurare” la Qualità della Vita delle persone e delle famiglie e la Qualità dell’inclusione sociale. Una questione che a livello politico non può essere elusa, se non altro per verificare la congruenza tra costi degli interventi e fini attesi.
Tornando al Profilo di Comunità, sarebbe dunque molto interessante analizzare i dati forniti per singoli servizi, dettagliandoli per età, ore di servizio in rapporto agli obiettivi educativi, liste di attesa ecc … Successivamente, ad una maggiore analisi dei dati, si avrebbe la possibilità di “leggere” le risposte (servizi) che vengono date, rispetto alle diverse fasi esistenziali delle persone: questo ci consentirebbe di entrare in una logica di servizi, supporti, sostegni evolutivi e contestuali, dove non necessariamente le risposte sono le stesse per tutti e per ciascuno immutabilmente le stesse per anni (ad esempio, non è detto che a tutti i bambini serva un AEI per un determinato numero di ore a settimana, ma potrebbe magari essere necessario lavorare su un obiettivo educativo/sociale intensivo per un po’ di tempo e poi via via scemando, quando l’obiettivo è raggiunto, cambiando anche la risposta che può tramutarsi in un sostegno di altro tipo all’interno della sua rete sociale) Insomma: servizi flessibili per progetti di vita evolutivi.
Alcune (essenziali e schematiche) indicazioni riguardanti specifici interventi e servizi.
SERVIZIO EDUCATIVO INDIVIDUALE E DI GRUPPO (AEI, EEG, AES) e servizio assistenziale (SAP)
Il servizio è programmato su prestazione oraria. Nello specifico AEI è un servizio individuale di rapporto 1:1, con l’elevata possibilità di instaurare una dinamica dualistica che fatica ad aprirsi e che può rimanere imbrigliata nella relazione tra educatore che dà e famiglia che chiede.
Qui appare indispensabile recuperare la capacità di lavorare per progetti. A fronte della discrezionalità dei Comuni nell’erogazione di questo servizio (assegnazione oraria), riteniamo indispensabile che ASP assuma un forte ruolo di coordinamento e non soltanto una funzione di natura amministrativa, nei confronti dei Comuni associati (vedi, in particolare, in riferimento al “progetto individuale”, art. 14 Lg. 328)
Si accenna ad una lista di attesa nell’AEI, ma mancano gli elementi per analizzarla (quanti e in quali Comuni, età dei richiedenti, su quali Pei). Rimane, pertanto, indispensabile avere questo dato, condizione per quantificare il bisogno. Allo stesso modo è importante capire quante persone abbiano richiesto il servizio educativo tramite HCP (INPS).
L’esperienza educativa di gruppo (EEG), se effettivamente ha superato le criticità dell’AEI (la relazione duale operatore/utente) può rischiare di rimanere un servizio “chiuso”, dove la relazione è per la maggior parte del tempo tra disabili del gruppo e gli educatori che vi lavorano. Stesso rischio che si può presentare nel servizio estivo per i giovani adolescenti, che non hanno più l’età per frequentare i centri estivi. Se per i bambini in età scolare non pensiamo più a servizi e percorsi separati, dato che 40 anni di inclusione scolastica hanno mostrato il valore sociale ed educativo della scuola di tutti - non possiamo non osservare come stentiamo a programmare nel contesto sociale sostegni, servizi, progetti anche per giovani e adulti. Qui si ritorna spesso ad una logica di risposta separata.
Stesso modello concettuale lo possiamo trasportare sul progetto “Opera H”: forse il cambiamento culturale che stiamo attraversando dovrebbe permeare i servizi a tal punto da uscire dalla logica del servizio, che elabora un progetto solo per la categoria di cui si occupa. Non solo fare teatro per i disabili, ma essere promotore di una cultura inclusiva nel teatro, che elabori percorsi con le compagnie esistenti, cosi che le persone con disabilità interessate possano frequentare i corsi di tutti.
Sul servizio educativo a scuola (AES) non abbiamo abbastanza dati per fare una riflessione approfondita. Non vengono, infatti, dettagliate le ore per età, gradi di scuola, obiettivi educativi/assistenziali. Inoltre, rispetto all’età adulta, si hanno più Unità multidisciplinari di riferimento (quella pubblica e quella dei Centri di riabilitazione). A ciò si aggiunge il fatto che negli ultimi anni ci sono minori seguiti anche da soggetti privati, che non esercitano la funzione di UM. L’importanza di questa figura educativa nella scuola è ormai nota: entra pienamente nel contesto classe e spesso affianca l’insegnante di sostegno ed il minore anche nel lavoro strettamente didattico. Una figura tutta da ripensare dal punto di vista contrattuale, che necessita di sempre più competenze psico-educative. Potrebbe essere utile far emergere nel PC il dato di quanti educatori ABA per l’autismo abbiamo, in che continuità educativa stia l’AES e l’AEI, che rapporto ha l’AES con la Scuola, in termini di programmazione educativa e didattica. Nella scuola secondaria di secondo grado può essere importante programmare, dal terzo/quarto anno, un progetto di uscita dalla scuola, con una figura educativa che tenga le fila di questo processo di traghettamento.
Il modello dei diritti cui si ispira alla Convenzione Onu, ci invita a considerare la persona e i suoi diritti indipendentemente dalla sua condizione. A livello di programmazione degli interventi questo significa non aspettare che un utente acquisisca delle autonomie per concedergli la capacità di autodeterminarsi, o allenare abilità per essere “adulto”, ma fare esperienze di vita adulte congrue alla sua età, indipendentemente dalla condizione.
Leggendo così i dati dell’EEG e dell’esperienza Esercizi di Volo ci si domanda allora chi di quei giovani–adulti, ad esempio, abbia attivo un percorso di inclusione lavorativa, da quanto tempo e con quale prospettiva. Sul TIS non abbiamo infatti dati così articolati: dove si svolgono, quale è il percorso evolutivo del TIS, se e quali obiettivi queste 134 persone abbiano raggiunto, quali difficoltà si incontrino nei contesti lavorativi. Soprattutto si evidenzia il ruolo irrilevante dell’Operatore della mediazione nella disabilità.
Se essere adulti significa acquisire capacità di scelta e assumersi delle responsabilità nel proprio percorso di vita, diventa necessario, per i servizi che lavorano in questa fascia di età, passare dalla logica del “progetto per la persona” alla logica della partecipazione e co-progettazione con la persona (bisogni, desideri, capacità di scelta) e co-progettazione con le famiglie.
Anche sul servizio di assistenza alla persona (SAP) sarebbe importante capire quante persone siano passate da questo servizio alla V.I., e quanto, in termini di vissuti e di autodeterminazione, questo passaggio abbia portato ad una maggiore Qualità di Vita. Il SAP è infatti un servizio potenzialmente molto importante, perché intreccia bisogni di natura assistenziali e di cura della persona, difficilmente scindibili nell’intervento educativo globale con le persone con disabilità intellettiva. Anche su questo punto sarebbe importante fornire elementi più dettagliati: chi usufruisce del SAP, in alternativa all’AEI o anche in integrazione al servizio CSER, per quante ore, con quali obiettivi.
Servizi diurni, residenziali e Dopo di Noi
Centro diurno. Il servizio semiresidenziale (CSER) richiede una lunga e articolata riflessione, che parta dalla presa in carico dei nuclei famigliari più o meno anziani e si connetta al lavoro di accompagnamento alla residenzialità. È necessaria quindi un’attenta riflessione sul lavoro educativo che si fa con la disabilità adulta e con le disabilità complesse. Conoscere se ci siano, al momento, liste di attesa e nuove domande, e capire se, dopo trent’anni, il mandato di questa tipologia di servizio sia ancora lo stesso, o se le persone ed il contesto territoriale esprimano altre domande, altri bisogni, altre aspettative, che appare necessario intercettare e far emergere. Oggi molti utenti sono arrivati alla piena adultità ed in alcuni casi si sta lavorando proprio ad un accompagnamento all’età anziana. Occorre quindi interrogarsi su questo servizio, cercando nuove di forme di vicinanza e supporto, e sostegni diversificati a seconda dei nuclei famigliari, lavorando parallelamente allo sviluppo di una politica abitativa inclusiva.
Residenzialità. Le politiche abitative per la disabilità nel nostro territorio sono, da molti anni, in una situazione di strutturale criticità. Un’offerta da sempre esigua, satura da diversi anni, che non ha neanche più la possibilità di usufruire di posti nei territori confinanti. Sostanzialmente bloccata, come conferma il PC, la cosiddetta “residenzialità di sollievo”. Una situazione preoccupante, considerato l’invecchiamento di molti genitori con figli con disabilità complesse. Segnaliamo di nuovo la duplice criticità: difficoltà a fare emergere i bisogni ed insufficienza delle risposte offerte. Anche qui, indispensabile, il dato delle liste di attesa da parte di UMEA e degli Enti gestori delle Comunità.
Dal 2019 il nostro territorio ospita anche, presso la comunità L’Azzeruolo, la sperimentazione residenziale regionale per l’accoglienza di persone con autismo. La comunità prevede un massimo di 9 persone residenti, ma da tempo risultano essere stabilmente quattro. Sarebbe utile, a 2 anni dall’avvio, riflettere, insieme a tutti gli attori (ASUR, compreso Centro autismo età adulta, ente gestore, ASP) sul significato di una struttura residenziale dedicata all’autismo, sul lavoro educativo, riabilitativo, assistenziale che richiede, e sulla regia e formazione di tutti gli attori coinvolti.
Dopo di noi. Infine il percorso dell’Autonomia Abitativa, finanziata con la legge 112, relativa al Dopo di Noi. Ad oggi nel nostro Ambito il progetto si rivolge a 3 persone, in attesa di altri, attualmente in fase di valutazione da parte dell’UM. Questo percorso, nato tra l’altro prima della L. 112, ha permesso di aprire un percorso di co-progettazione con le famiglie coinvolte, di formazione degli educatori e di progettazioni più dettagliate dei PEI.
Qui il rischio che mettiamo in evidenza è quello di non cogliere a pieno la natura innovativa della Lg. 112, che prevede una co-progettazione territoriale con tutti gli attori, le conoscenze dei nuclei famigliari e delle reti di contesto, così da poter dettagliare bene gli interventi messi a disposizione della persona con disabilità. Occorre puntare parallelamente a rendere stabile il percorso di inserimento lavorativo delle persone coinvolte, in assenza del quale non ha futuro un progetto di vera autonomia abitativa. Il territorio va messo attivamente al centro di una riflessione collettiva su cosa significhi autodeterminazione, lavorando contemporaneamente con il gruppo di persone che abitano insieme sulla diversificazione dei sostegni e la personalizzazione dei supporti.
Il rischio nella programmazione territoriale è di instaurare una forbice rispetto alle opportunità: percorsi di residenzialità per persone con disabilità intellettive lievi diversi da quelle con disabilità complesse. Con le prime si attuano percorsi innovativi, con le seconde si continua a lavorare su quella residenzialità d’emergenza di cui si parlava sopra, di cui tra l’altro non abbiamo posti.
Vita Indipendente Regionale. Sul Profilo di Comunità si accenna all’incremento dei beneficiari della Vita Indipendente dal biennio 2017-2018, che prevede anche la possibilità di adesione al progetto di persone con disabilità intellettive. Il testo andrebbe arricchito con altri dati: ad esempio: persone con disabilità che hanno aderito alla V.I., Comune di provenienza, se precedentemente fruivano di servizi, quale integrazione della V.I. con altri progetti (ad esempio: Dopo di Noi). Ciò permetterebbe una più compiuta riflessione.
Infine, trasversale a tutti i punti, come in alcuni passaggi abbiamo tratteggiato, è il tema del rapporto con le UM e con il gestore del servizio (con le opportunità ed i limiti di essere unico), oltre che con la scuola, riguardo agli alunni con disabilità.
Qui riteniamo che, senza reticenze, il tema dell’effettivo e dunque sostanziale lavoro congiunto, debba essere ripreso. Non può esserci costruzione di risposte adeguate (obiettivo) senza uno strettissimo lavoro dei diversi soggetti. Qui, riteniamo non ci sia una ricetta già scritta sul come fare. Occorre partire dall’intenzionalità e dalla volontà di lavorare assieme: il resto verrà di conseguenza.
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