Data di pubblicazione: 26/06/2023
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Politiche nelle Marche. A che punto siamo? Un bilancio di metà legislatura


In Appunti sulle politiche sociali, n. 2/2023.  Gli altri numeri della rivista.

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Fabio Ragaini Gruppo Solidarietà

Oltrepassata la metà della legislatura si può fare un primo bilancio dell’operato della giunta di centrodestra per quanto riguarda l’ambito sociosanitario e sociale? Quale continuità e discontinuità con il lungo periodo di governo del centro sinistra[1]?  Una risposta attraverso l’osservatorio del Gruppo Solidarietà. Intervista a cura di Giuseppe Alberti[2].

La nuova Giunta ha varato un nuovo assetto dell'organizzazione sanitaria regionale.  Con la nascita delle AST il ritorno al decentramento organizzativo territoriale sembra andare nella giusta direzione, anche dal lato della partecipazione dei rappresentanti sociali ed istituzionali dei territori stessi... Che valutazione si può fare?

Una valutazione complessiva ancora non può essere data. La riforma sanitaria, con la soppressione dell’Azienda sanitaria unica regionale (ASUR), è scattata dal 1° gennaio 2023, ma le 5 Aziende sanitarie territoriali sono gestite ancora da commissari, alcuni dei quali sono anche cambiati nel corso di questi mesi, in quanto le procedure per la formazione dell’elenco dei professionisti idonei ancora non è completa. Ad oggi la proroga non deve superare il 31 maggio. C’è anche da aggiungere che il Direttore del Dipartimento sanità, Armando Gozzini, chiamato a realizzare la riforma sanitaria, dopo poco più di un anno di permanenza è stato nominato Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria delle Marche (ed al momento è anche Commissario dell’azienda sanitaria di Macerata). Per quasi 3 mesi la direzione del Dipartimento è stata ad interim. Da pochi giorni (24 aprile 2023, n.d.r.) è stato nominato il nuovo Direttore, precedentemente commissario, per qualche mese, dell’AST di Macerata. La riforma non sembra quindi aprirsi sotto i migliori auspici. Detto questo, ribadisco quanto già precedentemente affermato nell’intervista (vedi nota 1) nella quale abbiamo analizzato le politiche del centro sinistra. Con la costituzione dell’ASUR, oltre a prodursi un forte accentramento delle funzioni decisionali e gestionali, si è creata una grande ambiguità di ruoli tra la Regione e la stessa Azienda sanitaria unica regionale, con la seconda che spesso ha assunto le funzioni della prima.

Le strutture ospedaliere, a tutti i livelli, sembrano gravate da problemi di personale e da liste di attesa insostenibili. Come pensi si possano affrontare problemi di questa portata? Vedi una strategia che possa portare a dei miglioramenti?

Osservo, come ogni cittadino, una situazione di forte degrado del sistema ed una grande stanchezza da parte della gran parte degli operatori sanitari. Se fino a non molto tempo fa ci lamentavamo, ad esempio, per le lunghe liste di attesa, oggi per molte prestazioni sanitarie (visite ed esami) non riesci neanche ad essere inserito in lista di attesa. L’assessore alla sanità, Filippo Saltamartini, afferma spesso che la Giunta ha varato una riforma epocale. Al momento non credo siano in molti a condividere questo giudizio. Quando si usano affermazioni così enfatiche è facile scorgere poca consapevolezza o estrema autoreferenzialità. In un caso e nell’altro sono lecite le preoccupazioni. In ogni caso mi pare complicato poter affrontare i molteplici problemi con una gestione commissariale che dura da 4 mesi, cui si aggiungono i mesi successivi alla legge di riordino, dell’agosto scorso, con cui è stata soppressa l'Azienda sanitaria unica. Mi sembra che ci troviamo, non solo nelle Marche, in una fase estremamente critica del servizio sanitario, nella quale è a rischio, in termini sostanziali, l’universalismo delle prestazioni a tutela della salute.

Nelle aree sociosanitaria e sociale permangono problemi enormi: ad esempio, sono ripetuti gli allarmi degli Osservatori più avveduti, rispetto all'innalzamento, sia in numeri assoluti che all’età, della popolazione anziana in Italia. Puoi indicare quali sono le emergenze che riguardano le persone afferenti a questa area? Perché non si riesce a porre almeno le basi, per incanalare la situazione su modelli più inclusivi e rispettosi delle persone, che attendono di poter usufruire dei servizi dovuti?

La distanza tra domanda e offerta è straordinariamente alta. Il deficit non è solo quantitativo, ma anche qualitativo. Dato quantitativo: sono circa 45.000 le persone con più di 65 anni, che ricevono l’indennità di accompagnamento e con necessità di assistenza continuativa. L’Istat ci dice che se ne possono aggiungere altre 20.000 in condizione di non autosufficienza. La regione Marche indica in 35.000 il numero di persone con demenza. Ricevono assistenza domiciliare comunale circa 1500 anziani (non sappiamo per quante ore settimanali); 600/700 accedono a Centri diurni ma non sappiamo con quale frequenza (tempo pieno, tempo parziale?); circa 4.000 ricevono un sostegno economico (da 200 a circa 350 euro al mese, a seconda della tipologia di sostegno). Ci sono poi i servizi di cure domiciliari (che non riguardano solo gli anziani), che raggiungono il 2/3% degli ultra65enni, con un media di circa 2 ore al mese. 9.000 persone, di cui 7.500/8000 non autosufficienti, sono accolte in strutture residenziali.

Se poi andiamo dentro e oltre i numeri, ci rendiamo conto che, quando una persona vive a casa, la cura grava sulle famiglie, che si trovano ad essere anche registe dell’organizzazione dell’assistenza (le “badanti”, regolari e no, vengono stimate, non solo per gli anziani, in circa 30.000).

L’assistenza residenziale, se è inadeguata dal punto di vista dell’offerta (la Regione indica in circa 2.500 il numero di anziani non autosufficienti in lista di attesa), lo è ancora di più rispetto alla qualità della risposta, articolata in standard assistenziali largamente inadeguati, basati su modelli per lo più custodialistici. Anche la risposta qualificata, dedicata alle demenze, si può stimare in soltanto qualche centinaio di posti.

Perché siamo in questa situazione? Perché c’è questa disattenzione, nonostante il problema riguardi tante persone e famiglie? Si sommano ragioni culturali e ragioni economiche, che al fondo richiamano una convinzione non dichiarata: sono persone che valgono meno delle altre e per le quali non sembra necessario investire, in termini di sostegno sociosanitario. Se nessuno d’altra parte ipotizza di modificare la “nuova” normativa sulle autorizzazioni approvata a luglio 2020, dopo la prima ondata della pandemia, che prevede che fino al 40% delle camere delle RSA anziani attive possano avere 3/4 posti letto, mi pare difficile essere ottimisti. Qualcosa della sanità del centro sinistra continua a piacere al centro destra: queste disposizioni rientrano, evidentemente, tra quelle gradite. Ho peraltro l’impressione che siano questioni non interessanti neanche in termini di propaganda che come è noto ogni tipo di potere usa a dismisura.

Puoi indicarci i provvedimenti principali, approvati in questi due anni, che riguardano le aree suddette e valutare la loro efficacia per un eventuale cambio di paradigma?

La risposta può essere sintetizzata in: nessuno. Da qualche settimana gira una bozza di Piano sociosanitario (circa 500 pagine tra testo e allegati) che non indica alcun specifico impegno sui temi che abbiamo indicato. La programmazione regionale si è sostanziata in questi 30 mesi nella riproposizione di provvedimenti (ad esempio nelle linee di finanziamento annuali) o nell’adempimento di provvedimenti statali, che chiedono una ratifica attuativa da parte della Regione.

Ritieni che l'esperienza del Covid abbia avviato nelle Marche una seria riflessione, a livello istituzionale, rispetto a modelli e servizi?

Non mi pare. Da un lato ancora oggi ci sono servizi residenziali che limitano accesso e modalità di visita. Se non si è capito l’importanza degli affetti e delle relazioni nei percorsi di cura ed assistenza, cosa vogliamo tematizzare? Ritengo che dovrebbe essere un motivo sufficiente per togliere l’autorizzazione. Non sei, evidentemente, “adatto” per fare quel mestiere. Non solo: in molte realtà lo sforzo che si è fatto, negli anni precedenti, per “aprire” i servizi sembra vanificato. Non c’è volontà né desiderio di entrare dentro le questioni, per affrontarle a partire dalla condizione di chi i servizi li riceve. Alla responsabilità istituzionale si aggiunge quello dei soggetti gestori dei servizi (profit e no), la cui unica attenzione sembra essere quella legata alla sostenibilità economica dell’impresa. Ripeto: unica. Nessuno chiede che non ci sia, ma non può essere solo quella.  Il rischio evidente, mi pare, è quello di “salvare il corpo ma perdere l’anima”.

Per il governo dell'area sociosanitaria e sociale, valuti che l'organizzazione e la dotazione tecnica, del governo regionale, sia cambiata e sperabilmente migliorata?

Ho risposto in parte già prima, rispetto alla sanità. Per quanto riguarda il settore sociale, e nello specifico l’assessorato regionale, non abbiamo una effettiva presenza politica da molti anni. Nella passata legislatura il presidente della giunta era anche assessore alla sanità e servizi sociali. Si può immaginare quanto tempo vi abbia dedicato! In questa legislatura credo che nessuno si sia accorto che l’assessore alla sanità abbia la delega anche al sociale. Nel bene e nel male occorre constatare che i periodi nei quali l’assessorato è stato più vivace è coinciso con l’assenza di delega unitaria. È abbastanza penoso, ma è così. D’altra parte se nessuno chiede ad un assessore di essere un tecnico è facile rilevare i limiti linguistici nelle poche volte, che tratta dell’argomento.

Sembra che la politica non abbia la giusta consapevolezza delle carenze rilevate: un recente incontro con i vertici sanitari regionali, tenutosi ad un consiglio comunale aperto a Jesi, ha visto gli amministratori ed il dibattito ruotare quasi esclusivamente sui problemi ospedalieri. Se i territori hanno scarsa consapevolezza, e la Regione anche, come si potrà avviare un cambiamento?

Esattamente. Se nel nostro territorio, solo per fare un esempio, ci sono 200 anziani in lista di attesa per una residenza (circa la metà dei posti convenzionati); se non c’è un posto che sia tale per persone con demenza; se un malato non autosufficiente può entrare in una residenza per autosufficienti con l’avallo delle Unità di valutazione; se un minore con disturbi specifici dell’apprendimento o si rivolge a strutture private, oppure … diventa adulto prima di ricevere una risposta; se non abbiamo mai avviato un percorso di riqualificazione delle figure educative, mentre non troviamo “educatori con titolo”, ecco, se succede tutto questo, vuol dire che c’è una strutturale disattenzione, che impedisce di creare le condizioni per affrontare i problemi.

Quando diciamo che i cambiamenti avvengono se c’è spinta dal basso, dobbiamo essere consapevoli che questo basso è afono. Se non maturano consapevolezze in termini di diritti, ma si rimane legati esclusivamente alla logica del bisogno, difficile che se ne esca. Se un sindaco, o un assessore, riescono a vedere solo il problema dell’intasamento del pronto soccorso o le infinite attese per una visita ambulatoriale, e non si accorgono che, ad esempio nel caso del nostro territorio, ci sono 1700 persone con demenza, che per la grandissima parte vive senza sostegni, vuol dire che c’è qualcosa che non va. Il problema è che le associazioni degli utenti e dei familiari, spesso frustrate dall’assenza di risposte, vedono come unica via d’uscita “dare loro qualche forma di soluzione”, con la conseguenza che si rafforza la deresponsabilizzazione istituzionale.

L’esempio può essere traslato nell’autismo, che per semplicità chiamiamo “grave”. Sia in età evolutiva che adulta è forte l’impegno delle associazioni (e il fatto che ne nascano continuamente è un segnale) a “costruirsi le risposte”. Continui a non trovarle, attendi, sembra una fatica inutile: allora decidi di spendere le tue risorse per costruire da solo - o con altri genitori- qualcosa per tuo figlio. Che magari è anche “isolato” e limitato, ma è qualcosa più del vuoto. Siamo di fronte ad una sfiducia diffusa, che produce metastasi.

Paradossalmente alcuni cambiamenti stanno arrivando dall’alto. Ad esempio, ho visto una bozza di decreto legislativo, previsto dalla Legge Delega sulla disabilità, nel quale emerge con nitidezza la centralità della persona nell’elaborazione e nella gestione del Progetto di Vita individuale, ed è forte il richiamo ai diritti umani e alle libertà fondamentali. Poi succederà che il “basso” non si troverà pronto e tradirà quelle indicazioni con azioni superficiali, precarie ed approssimative, stravolgendo il valore della norma. Ma, perlomeno si apre uno spazio per chi vorrà lottare per la piena attuazione e realizzazione di norme importanti e ragionevoli. Consapevoli che ci sono alcuni processi che hanno tempi lunghi per giungere a compimento.

Nell'ultima tua intervista su questi argomenti, concludevi… "Ripensare poi i modelli sui quali i nostri servizi sono nati e cresciuti. Un lavoro che ha bisogno di persone: politici e tecnici appassionati. Desiderosi di promuovere benessere nelle persone e nelle comunità. Dovremmo cominciare qui un altro discorso. Lo rimandiamo ad un’altra volta". Sopra, in parte, forse lo abbiamo abbozzato; vuoi delineare meglio questo discorso?

Penso sia indispensabile partire dalla necessità di un “sussulto etico”. Ci sono persone che vivono in condizioni inaccettabili o che non ricevono sostegni necessari per una vita dignitosa. Ritorna il tema dei diritti umani. Se guardiamo le cose da questa prospettiva, può iniziare un processo, che porti ad un cambiamento. Se lo guardiamo da un’altra prospettiva invece, queste richieste hanno il carattere di un’intollerabile sovversione. Se noi continuiamo ad accettare, ad esempio, che nelle strutture per anziani la contenzione sia sempre più una regola, che tra colazione e pranzo passino 3 ore, mentre tra pranzo e cena 5 e che, con il sole ancora alto, si vada a letto, se tutto questo è considerato normalità, allora può discenderne solo il mantenimento dello status quo, da parte dei funzionari, dei dirigenti e dei politici.

Si tratta anche di recuperare un’idea di cittadinanza e di partecipazione alla vita collettiva della comunità. Se il problema è solo il mio e nella mia casa, oppure se la risposta istituzionale è l’accoglienza in una struttura lontana, magari un casermone di grandi dimensioni, in entrambi casi la consapevolezza comunitaria diventa straordinariamente debole.

In questo senso diritti e modelli non possono e non devono essere scissi. Il diritto ad un sostegno non è equivalente alla fruizione di una prestazione. E d’altra parte non posso dire di aver soddisfatto un diritto, se la risposta è inadeguata ed emarginante, fino ad essere segregante. Se non c’è promozione del benessere, il diritto è monco, formale, non sostanziale.

Qui mi riaggancio al tema degli “esiti”. Non abbiamo maturato una cultura centrata sugli esiti. Ci preoccupiamo tanto dei requisiti ex ante, che precedono la gestione e l’operatività. Ma poi del post ce ne occupiamo solo se succede qualcosa di estremamente grave. Non esiste una seria cultura del controllo positivo, che rilevi le carenze per mettervi rimedio. Poi, come dicevamo prima, c’è un costante e diffuso tradimento del senso e del significato delle parole, che sono il contenuto dei nostri atti, dei nostri progetti, dei nostri regolamenti. Un tema, questo, che riguarda fortemente anche quelle organizzazioni non profit che si dedicano alla realizzazione e gestione dei servizi. Se divento un mero prestatore/intermediatore di manodopera, semplice ingranaggio di un sistema, il cui scopo è mantenere basso il costo del lavoro di cura, riducendo le tutele di chi lavora, quali interessi posso avere nella promozione della tutela e della dignità dei più deboli o nel coinvolgimento attivo della comunità?

Per approfondire

SENZA IMPEGNO. Sulla proposta di Piano sociosanitario regionale 2023-25 

Persone con demenza nelle residenze. Quante, dove, con quale assistenza

Cambiare i requisiti di funzionamento dei servizi. Associazioni sollecitano la Regione 

Non autosufficienza. Il sostegno alla domiciliarità nelle politiche delle Marche

CAMBIARE PROSPETTIVA. A proposito di politiche, modelli, interventi, servizi 

 


Novità editoriale

Gruppo Solidarietà (a cura di), TUTTO COME PRIMA? Politiche e servizi nelle Marche, Moie di Maiolati, 2023, p. 96, euro 12,00. 

Questo decimo QUADERNO sulle politiche regionali si pone in stretta continuità con il precedente NON COME PRIMA. L'impatto della pandemia nelle Marche (2021). Il tema del rapporto, non solo quantitativo, tra domanda e offerta; dei modelli dei servizi; del rapporto tra esigenze e diritti; del significato della personalizzazione dei sostegni; dell’attenzione posta agli esiti degli interventi, intreccia buona parte dei contenuti del libro. La sua pubblicazione coincide anche con la prima legislatura regionale a guida centrodestra. Se il precedente si apriva con l’analisi delle politiche del centrosinistra alla fine della sua parabola di governo, questo si apre con l’analisi di quanto proposto e realizzato dal nuovo governo regionale in questi 30 mesi. Anche questo nuovo Quaderno ha l’ambizione di essere uno strumento a disposizione di quanti ad ogni livello si impegnano affinché non venga mai meno il rispetto e la dignità di ogni persona. Puoi leggere l’introduzione a cura del Gruppo Solidarietà.

Informazioni e ordini: Gruppo Solidarietà, Via Fornace 23, 60030 Moie di Maiolati (AN). Tel. 0731.703327, e-mail: centrodoc@grusol.it, www.grusol.it. Bonifico bancario, BPER Banca: IT61H 0538 7373 9000 0042 887 649 (specificare nella causale).   OFFERTA. Per ordini pari o superiori alle 5 copie: 10,50 euro; Per ordini superiori a 10 copie: 9,50 euro (+ 1 euro per spese di spedizione).

 

[1] Sul bilancio dell’attività di governo del centro sinistra, vedi la precedente intervista a Fabio Ragaini, Le politiche sociali e sanitarie del centrosinistra nelle Marche: un bilancio in, “Appunti sulle politiche sociali”, n. 1/2021.

[2] Realizzata il 24 aprile 2023.

 

Sul bilancio dell’attività di governo del centro sinistra, vedi la precedente intervista a Fabio Ragaini, Le politiche sociali e sanitarie del centrosinistra nelle Marche: un bilancio in, “Appunti sulle politiche sociali”, n. 1/2021.


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