(indice Voce sul sociale)
Sulle politiche per l'handicap nella Vallesina*
La proposta di approfondimento-riflessione tra tutti gli attori impegnati
ad offrire sempre maggiori opportunità alle persone in situazione di handicap
è motivata dalla necessità di rileggere alcuni interventi ed eventualmente proporre
correttivi, ma soprattutto quello di situare i servizi all'interno di politiche
più complessive che non si limitano alla sola offerta dei servizi sociali o
socio sanitari.
Dunque a partire dalle esigenze delle persone individuare percorsi che offrano
risposte avendo sempre come riferimento fondamentale la piena integrazione sociale.
In questo senso va inteso il passaggio dai servizi alle politiche, intendendo
la necessità di non ridurre ai soli interventi assistenziali la risposta ai
problemi che l'handicap pone, ma avendo presente che le politiche sociali in
generale (trasporti, casa, tempo libero, ecc…) hanno il dovere di occuparsi
di tutti i cittadini compresi quelli in maggiore difficoltà.
Dunque lo sviluppo dei servizi (sia dal versante quantitativo che qualitativo)
deve andare di pari passo con la prospettiva di autonomia, emancipazione, abilitazione
e piena integrazione nella società. In questa prospettiva gli interventi educativo-assistenziali
(sia diurni che domiciliari) non possono o devono limitarsi ad offrire prestazioni
ma debbono costantemente porsi l'obiettivo del miglioramento della qualità della
vita della persona. Ogni nuova "abilità" di qualsiasi tipo deve essere finalizzata
ad essere spesa per facilitare l'integrazione nella società. I Servizi, quindi,
non possono esaurire, il loro intervento all'interno della durata dello stesso
ma debbono essere proiettati in una dimensione che cerca di offrire il massimo
delle opportunità alle persone. Per questo è importante che le relazioni della
persona con handicap non siano confinate nel circuito famiglia-servizi,
ma trovino, soprattutto nel tempo libero (generalmente troppo) occasione di
costruzione di relazioni all'interno della comunità locale. Relazioni che dovrebbero
avere sempre come riferimento la normalità (ovvero non qualcosa fatto esclusivamente
per qualcuno, ma partecipazione alle attività di tutti).
I Servizi
Uno specchio della situazione delle politiche può essere filtrato a partire
dalla situazione dei servizi rivolti alle persone in situazione di handicap.
Servizi che debbono sforzarsi di non essere una somma di prestazioni, ma devono
avere sempre presente la qualità della vita della persona e dunque in quella
prospettiva devono muoversi. Potremmo, così leggerne l'evoluzione. Cercare di
capire se sperimentano la effettiva presa in carico, hanno costantemente davanti
il miglioramento della qualità della vita, dunque vedono nella massima integrazione
nella società la "mission" del proprio intervento. L'integrazione non dovrà
riguardare solo il sociale e il sanitario ma dovrà estendersi ad altri settori
(casa, lavoro, trasporti, tempo libero, ecc…).
Non possiamo prescindere da un rapido esame dell'assetto organizzativo dei nostri
servizi territoriali.
La gestione è associata con Jesi comune capofila per un bacino di utenza pari
a circa 90.000 abitanti, diffuso su tutto il territorio della ASL 5. I servizi
domiciliari e diurni (compresa l'assistenza scolastica), è in gestione alla
cooperativa Cooss Marche. I Comuni dal settembre 1998 si sono dotati di un Coordinatore
(ora a 18 ore settimanali); fino ad allora i Comuni, hanno delegato al comune
capofila (Jesi dal 1996) la gestione amministrativa del servizio; la conduzione
tecnica se pur in capo ai titolari - dunque ai comuni - fino all'ingresso del
Coordinatore tecnico di fatto non veniva esercitata; le équipe dei distretti,
dal 1996 Unità Multidisciplinari hanno provveduto alla programmazione individualizzata;
agli operatori della cooperativa la realizzazione degli interventi. Immaginabili
i problemi di governo e di conduzione di un servizio nel quale il titolare per
lungo tempo ha rinunciato alla conduzione dello stesso. I servizi si sono ridotti
sempre a prestazioni. Con un gestore che negli anni si è caratterizzato-specializzato
nella erogazione. Mortificata ne è uscita ogni capacità progettuale. Non si
tratta di cercare le responsabilità, ma è importante capire le ragioni, di ciò
che negli anni si è sedimentato; è però evidente che si è sviluppato un circuito
per niente virtuoso, di fatto recriminatorio, che non ha messo per nulla al
centro i bisogni delle persone nella costruzione della risposta.
Emblematica la situazione dei Centri diurni per i quali è imprescindibile uno
stretto legame tra programmazione individualizzata e di struttura. Servizi che
faticosamente cercano di ritrovare la chiarezza negli obiettivi e nella tipologia
di utenza da accogliere. Pare importante evidenziare come l'evoluzione della
risposta si sia caratterizzata (vedi Cem e Terrecotte), con la creazione di
nuovi servizi, quando in realtà si trattava di offrire alcuni interventi all'interno
- in questo caso - del servizio Centro diurno. In questo senso ci pare che la
recente apertura a Moie di un nuovo CEM, il progetto Mostra Mercato e il Centro
Agricolo rischino di offrire ulteriori risposte nella indeterminatezza dell'obiettivo.
Dal punto di vista del rapporto istituzionale, del governo dei servizi, Comuni
e AUSL sono passati dal Protocollo all'accordo di programma, strumenti che si
sono rivelati più formali (e disapplicati nella sostanza) che frutto di un comune
percorso al fine di offrire una risposta coordinata, efficace, integrata. Dal
2000 i Comuni hanno regolamentato i loro servizi diurni e domiciliari. La titolarità
dei Comuni si è anche sostanziata nella totale responsabilità finanziaria degli
interventi; essendo a loro completo carico l'onere sia del servizio domiciliare
che di quello diurno. Scoperta rimane ancora la risposta residenziale che dovrebbe
essere "soddisfatta", con una prima comunità alloggio (circa 5 posti) a partire
dai primi mesi del 2002.
Si può affermare che alcune situazioni di handicap, hanno usufruito di interventi;
ma estranea al nostro territorio è stata una politica complessiva per l'handicap
(vedi ad es. una attenzione a tutto ciò che può essere ricondotto alla promozione
e sviluppo della mobilità. Non è un caso che il trasporto venga garantito
solo all'interno dell'erogazione del servizio centro diurno).
Il servizio domiciliare, fin dalla sua nascita, in molte situazione ha viaggiato
nella indefinizione dell'obiettivo; per lunghissimi anni, ma possiamo dire fino
ai nostri giorni, al bisogno (di qualsiasi tipo) si rispondeva con alcune ore
di assistenza educativa domiciliare. Negli ultimi anni si è aggiunta la possibilità
di un altro servizio; ma non pare cambiata la logica di fondo. I due "contenitori"
sono lo strumento con cui si risponde all'handicap.
Il servizio domiciliare continua inoltre ad essere figlio di una modalità organizzativa
(pagamento delle ore effettivamente prestate), che produce nel gestore la necessità
di non perdere le ore. Ogni percorso "abilitativo", che preveda lo sganciamento
dell'operatore viene bruscamente frenato dalla prospettiva di perdere lavoro.
Contestualmente la iniziale concezione che al maggior bisogno si dovesse rispondere
con maggior numero di ore ha creato un pericolosissimo corto circuito, con costi
insostenibili e scarsissima efficacia del servizio e peggio ancora con la produzione
di una deleteria cronicità assistenziale (vedi ad esempio il grave handicap
intellettivo). L'operatore ha rischiato e rischia di essere una protesi umana
(al pari di molti assistenti scolastici), un esecutore scarsamente impegnato
nella ricerca progettuale di opportunità della persona. Non si può non richiamare
il progetto sulla persona che deve fondare ogni intervento e che deve vedere
l'operatore impegnato nel difficile compito di "vivere" il territorio come risorsa
alla ricerca di sempre maggiori opportunità e relazioni.
Il rischio è quello di ridurre tutto a terapia e servizio, ovvero
a vivere tutto in una logica separata.
Dall'altra parte, i tecnici della Azienda sanitaria (oggi confluiti all'interno
delle UM), totalmente sganciati dalla gestione operativa dei servizi hanno rischiato
e rischiano di ridursi a semplici certificatori, funzionali all'accesso ai servizi
comunali, ma sostanzialmente estranei ad un lavoro di programmazione e promozione
degli stessi. Alcune considerazioni specifiche riguardano il Servizio di riabilitazione.
Negli anni, accentuandosi, è stato incapace di assumere una visione della riabilitazione
che non si identificasse con l'"esercizio" finalizzato al recupero funzionale.
Non va dimenticato che i Servizi di riabilitazione (che meglio sarebbe chiamare,
per come operano, di medicina fisica) sono tra i primi a "conoscere"
le persone disabili con un rapporto che si prolunga per molti anni. Ma è soprattutto
in età adulta che la riabilitazione si chiama fuori da ogni intervento, ritenendo
completato ogni processo di recupero e quindi "concedendo" al massimo alcuni
cicli di fisioterapia. Il Servizio di riabilitazione tende sempre più a concentrare
il proprio intervento nell'acuzie, mal sopportando le disabilità "permanenti"
che richiedono approcci e obiettivi differenti dal quelli della guarigione o
della remissione pressoché completa (vedi ad esempio la scarsissima attenzione
e conseguente formazione rispetto al ruolo sempre più importante degli ausili
nel contrasto della disabilità). Tale aspetto viene confermato dalla sostanziale
assenza degli operatori della riabilitazione all'interno delle UM per l'età
adulta.
Due esigenze chiedono di essere velocemente definite:
a) il governo della rete dei servizi (che con chiarezza ha necessità
di definire: obiettivi, tipologia di utenza, percorsi, modelli organizzativi);
b) una politica per l'handicap che non si identifichi con quella dei servizi.
In questo percorso il territorio e le sue risorse debbono recuperare un ruolo
oggi sottovalutato e sottoutilizzato. La presenza dell'operatore in ogni intervento
(nel luogo di svolgimento dell'attività), senza chiarezza di ruolo e obiettivo
ha prodotto la concezione che comunque c'è sempre bisogno di un sostegno, di
un aiuto, che in nessuna situazione è possibile un percorso autonomo. Mappare
i luoghi che potrebbero essere "occasione di integrazione"; offrire opportunità
di inserimento in luoghi normali che possa produrre relazioni, amicizia, comunicazione
diventa un compito imprescindibile dei servizi territoriali. A volte può essere
più utile che alla persona sia messo a disposizione un servizio trasporto che
non essere affiancato da un operatore. Ma tutto ciò richiede conoscenza della
persona, definizione dell'obiettivo, "lavoro" con le potenziali risorse, effettivo
inserimento e credibilità dei servizi nel territorio ecc…. Perché ad esempio
l'attività sportiva - di ogni tipo - in "normali" società sportive viene così
poco considerata ed è così poco "utilizzata" ai fini di un percorso di integrazione?
Perché tali attività devono stare sempre dentro il recinto della terapia o del
servizio? Ovviamente ciò richiede grande lavoro di "mediazione", in questo caso
con le società sportive. I servizi (o meglio gli operatori) si attivano dunque
per creare opportunità. Servizi, come luoghi-strumenti di integrazione.
Se dunque il principale riferimento è la qualità di vita della persona diventa
difficile capire perché in questi anni ne formalmente ne informalmente si è
strutturato un minimo di servizio informativo sui diritti e sui servizi.
Negli ultimi anni sono andati crescendo i benefici per le persone in situazione
di handicap e le loro famiglie (dai permessi familiari, alle agevolazioni fiscali
in materia di abbattimento di barriere architettoniche, acquisto automezzo,
ecc….), eppure difficilmente la famiglia trova nei servizi distrettuali o all'interno
ad esempio di un Centro Diurno qualcuno che offra informazioni al riguardo.
Se sulle diverse esigenze delle persone occorre costruire la risposta alcune
"disabilità", non trovano nei servizi attualmente erogati interventi adeguati.
Soprattutto la grave disabilità motoria - in particolare adulta - si
trova di fatto scoperta. Infatti alle malattie progressive con insorgenza in
età evolutiva (come le malattie neuromuscolari), si associano altre gravi disabilità
motorie che insorgono nell'età adulta (ad. es. sclerosi multipla, esiti di lesioni
midollari, con conseguente para o tetraplegia, ecc..). Generalmente per i primi
si ha la continuazione del servizio "educativo", iniziato nel periodo della
scuola dell'obbligo o superiore, per i secondi l'accesso ai servizi è di fatto
precluso. La non pertinenza di un servizio educativo, la mancanza in gestione
associata di altre risposte di fatto determina l'assenza di riposta. Si tratta
pertanto di progettare un servizio che fissata tipologia di utenza ed obiettivi,
possa rispondere alle necessità di una fascia di utenti attualmente scarsamente
e/o impropiamente servita.
In entrambe le situazioni la necessità è quella di avere un servizio che abbia
come principale obiettivo l'autonomia-indipendenza della persona. Andrebbe pertanto
definitivamente sganciato concettualmente da ogni intervento educativo. Per
le sue caratteristiche dovrebbe evitare la fissità dell'orario. Potrebbe anche
prevedere la gestione autonoma del servizio da parte dello stesso utente (su
specifico progetto il destinatario riceve un contributo economico con il quale
si pagherà l'assistente personale. Naturalmente l'ente locale che eroga il contributo
dovrà ricevere regolare copia delle fatture). Pensare a tale tipo di intervento
significa cambiare radicalmente il modo di concepire i servizi. In questo caso
la persona, il "fruitore" non è tanto un destinatario passivo dell'intervento,
quanto il principale protagonista del servizio sulla sua persona. Ogni intervento
non potrà pertanto prescindere da una attività di negoziazione. Si tratta quindi
di andare sempre più ad una personalizzazione dell'intervento che richiede ai
servizi un nuovo modo di porsi e di proporsi.
Le politiche per il lavoro.
Pagano il frutto della mancanza di politiche, purtroppo ridotte a servizi socio
assistenziali. Ed è il motivo per cui non si è stati capaci negli anni di impostare
alcun progetto operativo in questo senso. Infatti mettere mano ad autentiche
politiche del lavoro significa innanzitutto, credere nelle capacità delle persone
e non vedere solo le incapacità, avere piena coscienza che insieme agli insostituibili
servizi educativo assistenziali è necessario investire nell'orientamento e nella
formazione professionale, significa rapportarsi in modo autorevole con il territorio
e con il mondo del lavoro, significa andare a cercare le risorse di un territorio.
Se l'obiettivo è che ogni contesto "normale" sia capace di accogliere la diversità,
al pari della scuola, l'inserimento nel mondo del lavoro deve essere una sfida
da accogliere creando le condizioni perché ciò possa realizzarsi.
Quale percorso
Queste note hanno come unico obiettivo di proporre una occasione di approfondimento
rispetto a quello che questo "ambito territoriale" offre, in questo momento,
alle persone in situazione di handicap. Il desiderio è che si possa, tra i diversi
soggetti, aprire un percorso volto ad offrire nuove e rinnovate opportunità
alle persone disabili che vivono in questo territorio.
* Il Gruppo Solidarietà nel mese di luglio 2001, ha proposto al Comune di
Jesi, comune capofila nella gestione associata dei servizi per l'handicap, di
farsi promotore di un percorso di riflessione sullo stato dei servizi. A tal
fine si era concordato che il Gruppo inviasse una nota, che potesse servire
da punto di partenza per la riflessione. La scheda è stata inviata dal Gruppo
Solidarietà al Comune di Jesi, nel mese di settembre. Il Comune ha ritenuto
non condivisibili i contenuti della nota. Alcun percorso di approfondimento
è stato attivato. Riportiamo il testo della scheda.
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