Data di pubblicazione: 19/11/2019
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ASP-Ambito 9 Jesi. Disabilità. Servizi educativi: alcuni spunti di riflessione


Lo scorso 14 novembre l’Azienda Servizi alla Persona (ASP) Ambito 9 ha promosso l’incontro, Prospettive di sviluppo nei servizi di inclusione scolastica e di assistenza educativa nei Comuni dell’ASP Ambito 9. Di seguito l’intervento di Gloria Gagliardini per il Gruppo Solidarietà avente per tema Servizi educativi. Alcuni spunti di riflessione.

Quando ci siamo incontrati per preparare questo incontro ci siamo detti che forse avevamo sbagliato a dire che saremmo intervenuti, ma ormai è una responsabilità che ci teniamo. Diciamo questo perché se stiamo al titolo di questo convegno, parlare di sviluppo di due grandi e importanti servizi educativi come questi, richiederebbe prima una riflessione congiunta sul senso del lavoro educativo nella disabilità e una analisi sull'evoluzione di questi servizi anche nel nostro territorio.

Il punto oggi, ci pare sia quello di assumere nuove modalità di progettazione dei servizi educativi, ancorati a modelli pedagogici che abbiano davvero il cuore nel progetto di vita delle persone e nei contesti di vita; servizi educativi che siano garanzie, strumenti, ponti per l'accesso ai diritti di cittadinanza, poi tradurre questo in regolamentazione.

Nel titolo,"servizi di inclusione scolastica" e poi "servizio di assistenza educativa dei Comuni", si delinea una realtà: nella scuola, dato che siamo dentro ad un diritto/dovere allo studio, il servizio è di inclusione scolastica, nei Comuni stiamo ancora forse dentro ad un'ambiguità richiamando il termine assistenza? Non sappiamo se richiamare con forza la parola "inclusione", o se avanzarla ancora con timidezza, restando più sicuri nel dire che si tratta di assistenza educativa. Saranno solo parole, forse scritte di fretta, ma fanno una fotografia dello stato dell'arte.

Il nostro contributo più che suggerire sviluppi, vuole analizzare i due servizi dal nostro osservatorio, da quello che le famiglie ci hanno portato nel tempo e quello che riusciamo a verificare con i nostri occhi. Sarebbe stato più interessante confrontarci oggi con dei dati alla mano su questi due servizi, dati non solo quantitativi ma qualitativi, in termini di esiti dei progetti.

Educativa individuale o di gruppo

È interessante rileggere  il Quaderno "Abitare il territorio", pubblicato nel 1996, che raccoglie gli interventi del Gruppo Solidarietà e del Mosaico nel periodo 1986-1995 nella fase di avvio del servizio di educativa domiciliare nei Comuni della Vallesina (1987) e dei primi anni.  Questo intervento prende avvio, soprattutto come risposta, soluzione a chi, con handicap grave, usciva dalla scuola. Più tardi nasceranno i centri diurni come risposta differenziata alla situazione di disabilità adulta complessa per i quali non era possibili avviare un percorso lavorativo. Oggi il servizio educativo individuale è per una fascia di età che va dal prescolare allo scolare fino all'età adulta. Fasi della vita molto diverse per la persona e per il nucleo familiare, quindi può essere sempre la stessa modalità di servizio la risposta?

Di seguito evidenziamo alcuni rischi di questo servizio, alcuni dei quali sono rimasti da tanti anni a questa parte e che riproponiamo come domande aperte per una riflessione attuale:

Il rischio che gli educatori, se non supportati si trovano abbandonati a sé stessi, “soli con il proprio utente, nel vuoto che circonda il disabile”, da questo vuoto si inventano i luoghi (non-luoghi) dove "portare" le persone (al mercato, a fare la spesa, passeggio per il corso) a volte senza finalità chiare né per la persona né per l'operatore, come se l'importante fosse comunque "farlo uscire di casa". Ci sembra di poter dire che in alcuni casi ancora siamo in questa situazione, dove gli obiettivi educativi (PEI) non sono così specifici, non sono monitorati, non hanno una verifica a breve termine. Spesso la regia del progetto educativo ce l'ha in mano soltanto l'educatore, che in accordo con la famiglia propone attività nelle ore stabilite dal servizio. Sappiamo che è poi lo stesso operatore, che avendo un orario di lavoro frammentato sui casi, incastra tra il numero di utenti che segue la sua giornata lavorativa e non sempre il suo orario di lavoro coincide con l'orario in cui, sarebbe più opportuno e sensato avere per ciascuna persona il sostegno educativo (ad esempio due ore dalle 8,30 alle 10,30 del mattino di un giorno feriale difficilmente si trovano contesti sociali adeguati a un giovane adulto con disabilità intellettiva).

Individualizzazione dell'intervento educativo, significa personalizzare, contestualizzare quel progetto. Quanto i nostri servizi educativi territoriali sono individuali e quanti sono individualizzati? il servizio di assistenza educativa di gruppo (AEG) è stato un importante passo in avanti come risposta alla disabilità intellettiva, ci si è resi conto che alcune cose si possono fare meglio insieme, lavoro sulle autonomie sociali, personali ecc... Dobbiamo comunque tenere alta l’attenzione per evitare che si trasformi in un fare tutto in gruppo, un accorpare bisogni per poi non individualizzarli, col rischio di perdere l'unicità dei singoli percorsi e progetti di vita: tutti a mangiare la pizza insieme, tutti al mare insieme, tutti al concerto insieme, tutti lo yoga insieme, tutti teatro insieme e ... sempre con l'operatore che guida la macchina.

Quanto i servizi di assistenza educativa territoriale sono appropriati e quanto invece riempiono, "coprono" un buco come quello lavorativo nella fase adulta del dopo scuola?

La rigidità di alcuni servizi/progetti ... se entri nell'AEI non hai l'AEG, se fai il Dopo di noi non hai più AEI, se vai al Centro diurno non accedi più al gruppo del mare o del teatro del territoriale ecc...

La coprogettazione dei servizi educativi: quanto le famiglie partecipano e come partecipano all'individuazione del progetto educativo. Nella progettazione del servizio educativo si analizza la rete dei sostegni (familiari, sociali, informali, gruppali … ?) quanto effettivamente entrano le risorse esterne dal nucleo familiare nei progetti?

Ruolo dei PEI e le responsabilità degli enti nel garantire il progetto individuale: I Piani educativi sono strumenti di progettazione reali o sono solo adempimenti burocratici, dove si ascoltano alcune istanze delle famiglie in una corsa all'accaparrarsi più ore possibili, in un meccanismo che sappiamo parte dalle Unità Multidisciplinari e che chiede poi approvazione ai Comuni che sulla base delle loro scelte dispongono, autorizzano risposte? Qui il tema è la discrezionalità dei Comuni nell’erogare i servizi, è un tema che andrebbe ripreso dalla parte politica di ASP. 

Chi lavora sul e con il territorio e come ci si lavora? Come si prepara un contesto (sportivo, ludico, extrascolastico, di quartiere ecc ...) all'incontro con le persone? E quanto questi diventano significativi per le persone con disabilità e le famiglie? Qui c'è ancora tutto un lavoro educativo aperto, da ricercare, da progettare, da inventare .... L'educatore è un mediatore, un facilitatore di contesti reali (non simbolici, non fittizi, non spersonalizzati).

Il trasporto. Per chi abita nei piccoli paesi della Vallesina il trasporto è ancora un problema anche nel praticare il proprio progetto educativo. Se l'educatore non prende la macchina, o se la famiglia non la mette a disposizione, lo spostarsi da casa per la persona disabilità rimane un enigma. Qui le domande sono due: quanto si lavora sull'accessibilità dei trasporti pubblici? e che strategie si trovano nei comuni per facilitare i percorsi inclusivi?

Il lavoro educativo ad ore. Siamo, nei fatti, fermi alla prestazione oraria. Forse è il caso che cominciamo a pensare il lavoro educativo come a un lavoro a progetto. Un lavoro legato a un numero di persone per numero di ore, difficilmente sarà un lavoro che induce a pensare in termini evolutivi, che significa quindi prevedere anche lo sganciamento dall'educatore: chi mai si toglierebbe delle ore di lavoro perché ha raggiunto un obiettivo di autonomia e autodeterminazione?

Gli esiti dei progetti e la valutazione degli esiti. Che strumenti si adottano per valutare gli obiettivi raggiunti? Per dove passa la qualità dei servizi educativi territoriali, per la presenza dell'educatore nelle ore stabilite o per l'aumento della Qualità di vita delle p.c.d e delle famiglie, e come si misura? Quali modelli adottiamo in questo Ambito Territoriale?

Passare da una logica di servizio educativo come risposta a un bisogno di un utente a una logica di supporto educativo come sostegno professionale tra altri sostegni anche informali, non professionali, per aumentare le possibilità di autodeterminazione, desideri, costruzione di futuro.

La professionalità della “figura educativa”. Una figura che necessita di formazione permanente, che diventi un esperto di comunicazione e facilitatore di contesti. La necessita di una qualifica (siamo passati dagli ex obiettori di coscienza che diventavano educatori, a quelli usciti dai corsi regionali, agli operatori H, fino ad aver equiparato la figura dell'educatore con quella del sociologo, dell'assistente sociale, dello psicologo come se "l'umanistico" bastasse ad avere competenze educative specifiche. È ora di andare verso una qualità dei servizi che passi anche per figure professionali certe.

Ci  sembra importante:

1. Progettare servizi educativi per fasi di vita: se pensiamo alla vita del giovane adulto i servizi dovrebbero essere ponte per l'assunzione di ruoli adulti nella comunità, se pensiamo al bambino il lavoro educativo è chiaramente di altro tipo: vivere un'infanzia nei luoghi di tutti, poter fare esperienza di costruzione di un'identità reale (non il falso sé) perché la vita della scuola entri pure a casa, e viceversa, perché ci siano esperienze di incontro, scambio, conflitto, conoscenza con gli altri bambini.

2. La valutazione dei percorsi. Servizi che debbono migliorare la qualità di vita, aumentare il set di capability.

3. Rispondere alla complessità, con competenze e ragionare per processi non per singole risposte. Vediamo come nella disabilità complessa (ad esempio autismo) la singola risposta non è che un palliativo all'assistenza familiare, ma non diventa un sostegno strutturato, tecnico e professionale educativo accanto ad altri sostegni interdisciplinari.

L’educativa scolastica

Qui siamo dentro a tutto un altro contesto istituzionale, per quanto è l'Ente locale ad avere responsabilità dell'AES nella figura dell'educatore scolastico. Questa figura (del Comune) che opera nella scuola è un punto ancora problematico che viene spesso rimosso anche nei convegni internazionali sull'inclusione scolastica. Noi sappiamo bene come oggi, a svolgere la continuità educativa e didattica sia spesso più l'educatore che l'insegnante di sostegno, proprio perché può accedere che sia lo stesso operatore che svolge anche la funzione educativa individuale (territoriale) o che lo accompagni per diversi anni anche nella transizione all'avanzamento di grado scolastico.

I punti che poniamo all'attenzione sono:

- le competenze e la complessità della figura educativa a scuola. Sappiamo che questa nasce con la legge 104 art. 13 comma 3 "assistente per autonomia e comunicazione", in cui si obbligano i Comuni a fornire l'assistente per comunicazione e autonomia per handicap fisici e sensoriali. Poi si apre la figura ad altre disabilità anche intellettive e psichiche ... Ci si trova quindi ad avere una richiesta di figure educative formate, specialistiche (pensiamo oggi all'ABA per autismo): un operatore che sappia lavorare nel contesto classe e scolastico principalmente come facilitatore di relazioni con i coetanei. Una professionalità che richiede competenze psico pedagogiche che fino alla scuola elementare è abbastanza allineata con il modello educativo scolastico, dalle scuole superiori di primo e secondo grado, diverge per un'impostazione della didattica ancora trasmissiva e poco innovativa. Lo spazio per il lavoro educativo in questo modello si riduce fino al punto di non essere che una mera figura di assistenza o sottoposta all'insegnante. Qui c'è spazio per innovare, proporre, praticare educazione che non significa solo educare il proprio utente, ma al contrario essere ponte e sostegno educativo pedagogico accanto al lavoro didattico dell’insegnante. 

Nella scuola lavorano operatori per la comunicazione (disabilità sensoriali), per l'autonomia (disabilità fisiche), per disabilità cognitive, disturbi del neuro sviluppo.  Sappiamo come nei casi di disabilità intellettive e complesse la soluzione è ancora quella della stanza H, del corridoio, del contesto separato alla classe o parallelo... Un punto questo che le famiglie non accettano più, giustamente o emigra verso la “vicina” scuola speciale, ritenendo ci siano più competenze .. forse).

- la valutazione e i criteri di qualità di inclusione scolastica ... l'educatore ne prende parte? Le nuove norme sull’inclusione, prevedono elaborazioni di criteri di qualità, anche qui per l’educatore ci sarebbe spazio di lavoro.

- la continuità del percorso educativo tra casa e scuola, tra scuola e alternanza al lavoro. Se il lavoro dell'operatore scolastico è regolato dalla presenza o assenza dell'alunno riesce a fare un lavoro per progetto? Quanto nei fatti ciò che si costruisce a scuola in termini di relazioni, di competenze, di autonomie viene poi tradotto a casa, nel tirocinio formativo, nel proprio territorio.

- Profilo di Funzionamento, che deve essere redatto dalle UM in accordo con la famiglia e la scuola, implica un lavoro di analisi su base ICF che indaga il funzionamento della persona e del suo contesto, ci domandiamo se e quanto siamo in grado oggi nelle nostre UMEE di pianificare per profili di funzionamento. Che relazioni ci sono tra le scuole e le UM di valutazione e verifiche dei progetti educativi? Scontiamo in questo territorio la carenza strutturale delle UMEE.

Alcuni contributi, su questi temi, del Gruppo Solidarietà

I materiali che di seguito proponiamo, scelti tra i nostri moltissimi contributi (QUI alcuni di quelli redatti dalla fine degli anni novanta), segnano un ideale percorso dall’avvio dei servizi territoriali ad oggi.

2017, Persone con disabilità. Lettera aperta a Comuni e ASP ATS 9 Jesi 

2011, Nodi e proposte di miglioramento nei servizi per persone con disabilità nell’ATS 9

2010, Servizi disabilità Ambito 9 Jesi. L'indispensabile chiarezza

2006, Politiche e servizi per la disabilità nel territorio dell’'Ambito territoriale sociale 9 - Jesi

2002, Politiche per l'handicap nella Vallesina

1998, Politiche per l'handicap nella regione Marche

1986-1995, Il quaderno “Abitare il territorio. Cronaca di 10 anni di lavoro per promuovere servizi e  diritti” è esaurito (può essere consultato presso la sede del Gruppo Solidarietà”). Raccoglie 18 contributi del periodo 1986-1995, riguardanti la fase di avvio dei servizi di educativa territoriale nel territorio della Vallesina (20 Comuni per circa 60.000 abitanti


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Adempimenti legge 4 agosto 2017, n. 124


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