Da LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Centro di ricerca per la pace di Viterbo Direttore responsabile: Peppe
Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532,
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Il 2 febbraio del 1956 un giovane sociologo triestino, quasi sconosciuto,
organizza nell'entroterra siciliano lo "sciopero alla rovescia" di un
migliaio di contadini, operai, intellettuali e disoccupati: invece di
astenersi dal lavoro per un giorno, lavorano gratis per sistemare una
strada pubblica. A dimostrazione che espressioni inflazionate come "nel
Sud manca il lavoro" sono filologicamente inesatte: cose da fare ce ne
sono in abbondanza, manodopera pure, ma manca la volonta' politica di
impiegare i soldi in maniera produttiva. Ai privati e ai politici di professione
riescono piu' convenienti (almeno nel breve termine) parassitismo e clientelismo.
Quell'iniziativa consenti' a Danilo Dolci di attrarre l'attenzione dell'opinione
pubblica mondiale sui mali della Sicilia e sui tentativi di attivare strategie
terapeutiche. Per ricordarne il cinquantesimo anniversario un Comitato,
promosso dal figlio Amico e dal "Centro per lo sviluppo creativo", con
l'apporto convinto dell'amministrazione comunale di Partinico, ha organizzato
per la mattinata l'intitolazione della via "Sciopero alla rovescia" (presso
la scuola media "N. Cassara'") e la proiezione di un cortometraggio; per
il pomeriggio, un incontro pubblico con interventi di Vito Lo Monaco,
Nino Fasullo, Salvatore Costantino.
Anche se non e' cio' che accade di regola, sarebbe importante che - al
di la' della ricorrenza temporale - si traesse spunto dall'occasione per
riflettere criticamente, ed operativamente, sul quadro odierno delle lotte
sociali. Tranne rare eccezioni (penso soprattutto al "Comitato cittadino
di lotta per la casa" palermitano e, su piu' ampia scala, alle cooperative
promosse da "Libera" per l'utilizzazione dei beni confiscati ai mafiosi),
pare che il pendolo oscilli tristemente fra immobilismo e mobilitazione
strumentale. L'immobilismo delle organizzazioni della sinistra storica,
i cui esponenti sono troppo impegnati a preparare convegni per lavorare
nei quartieri del centro storico, per ascoltare i bisogni effettivi delle
donne e degli uomini delle periferie, per sollecitare il volontariato
ad assumere una prospettiva politica piu' matura; la mobilitazione strumentale
di capipopolo improvvisati capaci di parlare all'animo della gente ma
per rubarne il consenso a fini elettorali (solitamente a favore del centro-destra)
o, peggio, per alimentare meccanismi di sfruttamento paramafiosi
Chi, come me, ha conosciuto Danilo Dolci non e' certo incline a farne
l'apologia acritica.
In piu' di un'occasione questa persona eccezionale ha mostrato, insieme
ai limiti delle sue iniziative, delle spiazzanti debolezze soggettive.
Ma il significato complessivo della sua opera si staglia con nettezza:
come pochi altri, infatti, si e' preoccupato - per riprendere la celebre
espressione di don Milani - di servire i poveri piu' che di servirsene.
Proprio nel 1956 un altro gigante della nonviolenza in Italia, Aldo Capitini,
sintetizzava in dieci punti i principi "espressi e praticati" dal suo
amico trapiantato in Sicilia: "lavorare per una societa' che sia veramente
di tutti; cominciare piu' affettuosamente e piu' attentamente dagli ultimi;
portare le cose piu' alte a contatto dei piu' umili; partecipare per comprendere;
superare continuamente i propri possessi dando aiuti; creare strumenti
di lavoro e di civilta' per tutti; dare amorevolezza a tutte le persone,
non considerandole chiuse nei loro errori; usare nelle azioni e nelle
lotte il metodo rivoluzionario nonviolento; nei casi estremi e nei momenti
decisivi offrire il proprio sacrificio (per esempio, il digiuno), prendendo
su di se' la sofferenza; promuovere riunioni e assemblee per il dialogo
su tutti i problemi".
Lo so, siamo troppo scaltriti - o troppo cinici - per non sorridere con
aria di superiorita' davanti a criteri operativi di questo genere. Senza
negare l'opportunita' di tradurli in un linguaggio meno ingenuo, la sostanza
del messaggio rimane di attualita' inalterata: allora come oggi, non si
modifica la condizione effettiva di un territorio se l'utopia di una civilta'
diversa non si coniuga con la concretezza dei piccoli passi quotidiani.
Gina D'Angelo Matassa, un'attenta lettrice di Sciascia, l'ha scritto anni
fa con efficacia: "le rivoluzioni che non cambiano i codici di comportamento
degli individui e sfruttano le infinite soluzioni della paura per le infinite
possibilita' del potere, non sono rivoluzioni ma cambi di guardia" (La
ruota e il serpente, Nuova Ipsa, p. 130). Gandhi, cui Dolci ha sempre
guardato con docilita' creativa, l'aveva saputo dire ancor piu' sinteticamente:
"Sii tu per primo quel cambiamento del mondo che vorresti".
Danilo Dolci e' nato a Sesana (Trieste) nel 1924, arrestato a Genova
nel '43 dai nazifascisti riesce a fuggire; nel '50 partecipa all'esperienza
di Nomadelfia a Fossoli; dal '52 si trasferisce nella Sicilia occidentale
(Trappeto, Partinico) in cui promuove indimenticabili lotte nonviolente
contro la mafia e il sottosviluppo, per i diritti, il lavoro e la dignita'.
Subisce persecuzioni e processi. Sociologo, educatore, e' tra le figure
di massimo rilievo della nonviolenza nel mondo. E' scomparso sul finire
del 1997. Di seguito riportiamo una sintetica ma accurata notizia biografica
scritta da Giuseppe Barone (comparsa col titolo "Costruire il cambiamento"
ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e botteghe,
Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il 28 giugno
1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver lavorato per
due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a Trappeto,
a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu' povere e
dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio al primo
dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la denutrizione.
La protesta viene interrotta solo quando le autorita' si impegnano pubblicamente
a eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di una fogna.
Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a Partinico, che fa conoscere
all'opinione pubblica italiana e mondiale le disperate condizioni di vita
nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro intenso, talvolta frenetico:
le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo
"sciopero alla rovescia", con centinaia di disoccupati - subito fermati
dalla polizia - impegnati a riattivare una strada comunale abbandonata.
Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958) si costituisce il "Centro
studi e iniziative per la piena occupazione".
Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare
questo straordinario fronte civile, "continuazione della Resistenza, senza
sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e di denuncia
del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle
accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo piano della
vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro Bernardo
Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino
1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano
gli attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero (da Norberto
Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley
a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari
Dolci e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre
a processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario e' il
suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verita'
preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare.
E' convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento,
dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso
non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi
libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga,
impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere
e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico
sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi
nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E' proprio nel corso di
alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l'idea di costruire
la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro economico alla
zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia, che faceva del controllo
delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento di dominio sui
cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di acqua per tutti, di
"acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo: saranno necessarie
lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni, per
veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte
successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine
di migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora coltivabile;
l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende
e cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale,
civile.
Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce
l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il Centro promuove iniziative
per valorizzare l'artigianato e l'espressione artistica locali. L'impegno
educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre
connesso all'effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando
di comprenderne appieno le potenzialita'. Col contributo di esperti internazionali
si avvia l'esperienza del Centro Educativo di Mirto, frequentato da centinaia
di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con numerosi collaboratori,
si fa sempre piu' intenso: muovendo dalla distinzione tra trasmettere
e comunicare e tra potere e dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione
democratica delle nostre societa' connessi al procedere della massificazione,
all'emarginazione di ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale
esercitato attraverso la diffusione capillare dei mass-media; attento
al punto di vista della "scienza della complessita'" e alle nuove scoperte
in campo biologico, propone "all'educatore che e' in ognuno al mondo"
una rifondazione dei rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza,
sulla maieutica, sul "reciproco adattamento creativo" (tra i tanti titoli
che raccolgono gli esiti piu' recenti del pensiero di Dolci, mi limito
qui a segnalare Nessi fra esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria
1993; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci
(Fi) 1996; e Comunicare, legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci
(Fi) 1997). Quando la mattina del 30 dicembre 1997, al termine di una
lunga e dolorosa malattia, un infarto lo spegne, Danilo Dolci e' ancora
impegnato, con tutte le energie residue, nel portare avanti un lavoro
al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita".
Tra le molte opere di Danilo Dolci, per un percorso minimo di accostamento
segnaliamo almeno le seguenti: una antologia degli scritti di intervento
e di analisi e' Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974; tra i libri
di poesia: Creatura di creature, Feltrinelli, Milano 1979; tra i libri
di riflessione piu' recenti: Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Torino
1988; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze 1996.
Tra le opere su Danilo Dolci: Giuseppe Fontanelli, Dolci, La Nuova Italia,
Firenze 1984; Adriana Chemello, La parola maieutica, Vallecchi, Firenze
1988 (sull'opera poetica di Dolci); Antonino Mangano, Danilo Dolci educatore,
Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1992; Giuseppe
Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo critico di
Danilo Dolci, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2000, 2004 (un lavoro
fondamentale); Lucio C. Giummo, Carlo Marchese (a cura di), Danilo Dolci
e la via della nonviolenza, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2005. Tra i materiali
audiovisivi su Danilo Dolci cfr. il dvd di Alberto Castiglione, Danilo
Dolci. Memoria e utopia, 2004].