Persone con disabilità. Percorsi di inclusione
ritorna
Gruppo Solidarietà (a cura di), Persone con disabilità.
Prospettive inclusive, prefazione di Andrea Canevaro, Castelplanio
2012, p. 112, euro 12.00.
L’educazione
inclusiva vuole innovare riferendosi a un individuo sociale. Innovare
perché tutto è cambiato dal trionfo, da una narrazione che
ha cancellato la società imponendo l’individuo. Questa narrazione
riguarda la scuola (i genitori assediano il singolo insegnante per essere
sicuri che il proprio erede abbia tutto il programma completo e senza
ostacoli dati da agenti atmosferici che costringono a stare a casa qualche
giorno per neve e ghiaccio, come dovuti alla presenza di chi ha bisogni
speciali…), il lavoro (inutile invocare il mondo del lavoro di anni
fa. Il lavoro è fatto di contratti individuali che non alimentano
solidarietà ma competizioni individuali, progetti individuali,
ecc.), i servizi (raggiungere la risposta attraverso amicizie, spettacolarizzazioni
della propria condizione attraverso giornali e mezzi televisivi, in un
crescendo che va dal giornale locale alla trasmissione televisiva su un
canale nazionale…). L’educazione inclusiva deve attingere
dal passato, compresa la sua origine dovuta ad un amore ancillare. Ma
deve innovare senza nostalgie di un passato che non tornerà. Ha
il dovere di essere appassionata di futuro, incontrando e lavorando con
tutti coloro che sono appassionati di futuro. Questo vuol dire progetto.
Nel progettare, l’autodeterminazione del singolo sta nell’autodeterminazione
dello stesso progetto. L’integrazione, nella prospettiva inclusiva,
non vuole conservare nel presente chi ha Bisogni Speciali. Vuole che sia
nel futuro comune.
(Dalla introduzione di Andrea Canevaro).
Contributi di: Andrea Canevaro, Lucio Cottini, Fausto Giancaterina, Alain
Goussot, Marisa Faloppa, Giampiero Griffo, Vanna Iori, Vittorio Ondedei
, Mario Paolini, Antonio Saccardo.
Introduzione
Rampa d’accesso
di Andrea Canevaro
Prendiamo la parola autodeterminazione come indicatore stradale
del percorso di chi legge questo libro.
Le parole sono importanti. Noi veniamo al mondo e troviamo parole già
in servizio attivo, con i loro significati già diffusi. Dobbiamo assumerle,
così come le troviamo. E adattarle, riempiendole di significato, secondo
le nostre intenzioni. Che a loro volta non dovrebbero trascurare chi riceve
le nostre parole. La parola autodeterminazione come viene ricevuta?
Difficile pensare che vi sia una sola risposta. Se dovesse essere una,
sarebbe “dipende…”. Se dovesse essere ascoltata da Victor, il ragazzo
selvaggio che alla fine del ‘700 fu trovato abbandonato nei boschi
dell’Aveyron (Sud della Francia) e affidato poi all’educazione da parte
di Itard, e se Victor capisse quella parola, potremmo immaginarne la gioia.
Che si manifesterebbe in una corsa verso i boschi e l’acqua di un fiume.
Riprenderebbe la sua libertà. Ne sarebbe felice. Ma forse tornerebbe dal
Dottor Itard e dalla sua Governante Madame Guérin. Scoprirebbe che la
parola autodeterminazione non indica una libertà senza confini,
ma una necessità di combinare le nostre esigenze e quelle di chi è attorno
a noi. E se al tempo di Victor il sauvage, Itard e Madame Guérin
quell’ “attorno a noi” aveva un certo significato, oggi ne ha un altro,
e domani ne avrà un altro ancora.
Le parole hanno una storia, e assumono il significato che i contesti storici
e culturali promuovono, permettono, impediscono. Ma le parole possono
essere collocate, da chi ne fa uso, sullo sfondo, o contesto, giusto o
ritenuto tale. Le parole possono richiamare al centro della scena un contesto
e anche compiere il forse meritorio servizio di presentare - far presente
- scenari che le risse e le spettacolarizzazioni hanno oscurato.
Le parole di questo libro si collocano su tre sfondi, o contesti:
- le leggi
- le esperienze
- le ricerche.
Precisiamole, sia pure in breve meglio.
Le leggi possono diventare una rete in cui impigliarsi e non uscirne
più. O possono essere un riferimento che permette di procedere con sicurezza.
Le leggi possono essere nello stesso tempo difensive e propositive. Possono
difendere le scelte inclusive, sostenendole con la forza del diritto.
E possono farci capire che l’orizzonte si sposta e bisogna guardare lontano.
Ci sono leggi che danno garanzie circa la gestione dei progetti inclusivi.
E ci sono leggi che hanno la forza di essere fondanti e capaci di aprire
il futuro: ci aiutano a rappresentare i valori fondamentali nel futuro
del mondo. La nostra Costituzione è limpida: Art.3 - principio di uguaglianza
formale - “ tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali
davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione,
opinioni politiche, condizioni personali e sociali” - principio di
uguaglianza sostanziale - “ è compito della Repubblica rimuovere gli
ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà
e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona
umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione
politica, economica e sociale del Paese”. Ma le leggi devono essere esigibili
e credibili. Questo è un compito che il libro ha assunto pienamente.
Ci vogliono le esperienze. Che devono confrontarsi con le ricerche.
Esperienze e ricerca non vanno sempre d’accordo; implica cercare di mettere
d’accordo chi vive sulla strada e anche della strada, e chi vive al piano
nobile del palazzo. Il dottor Itard e Madame Guérin hanno bisogno uno
dell’altra, e viceversa. Itard è la ricerca: costruisce un lavoro da laboratorio,
pone obiettivi, misura, fa ipotesi e verifica… Madame Guérin ha la cura
della casa, della cucina, delle pulizie, che sono il suo laboratorio.
Victor reagisce come può alle proposte di Itard. Fa lui delle proposte,
prende delle iniziative, in relazione con la casa, la cucina, le pulizie.
Con il laboratorio di Madame Guérin.
Chi legge questo libro non incontra Victor il sauvage, Itard e
Madame Guérin. Evocare i loro nomi non è però fuori luogo. Vediamo perché.
Sono gli antenati da cui discendiamo. Deriviamo da una coabitazione fra
ricerca ed esperienza. Da lì, da questa coabitazione, è nata l’educazione
inclusiva. Che, come frutto della coabitazione di un Signore, o Padrone
(ricerca) e di una Governante, o Donna di servizio (esperienza), non può
dichiarare con tranquilla disinvoltura la propria discendenza. Insomma:
non è una nobile origine, ma il frutto di un amore ancillare. Che sia
proprio questo a permettere un processo di autodeterminazione per nulla
banale, e forse anche carico di elementi utili per tanti. Ricordiamo che
il diritto all'autodeterminazione è il riconoscimento della capacità di
scelta autonoma ed indipendente dell'individuo. Le caratteristiche dell’educazione
inclusiva – nella parte di mondo in cui ci è dato vivere – rendono più
forte, urgente e significativo il desiderio di autodeterminazione. L’urgenza
fa correre rischi: mettersi sotto la protezione delle leggi; vantarsi
di essere esperienza; lo stesso, ma riferendosi a ricerca.
Sono rischi comprensibili. L’autodeterminazione può farci capire meglio.
Perché quella parola, per essere distinta dall’individualismo, va sorretta
da leggi, esperienza, ricerca. L’educazione inclusiva deve affermarsi,
innovando, in una società disfatta in tanti individui, che, appunto, non
si riconoscono in una società. E il fatto che siano individui in maggioranza
falliti – precari, fragili, senza progetti – unisce a volte in indignazioni
precarie, fragili, senza progetti. L’educazione inclusiva deve agire in
una cultura che è percorsa dalla proposta di scommettere, individualmente,
per risolvere ogni problema vincendo, a un quiz, a una lotteria, al totocalcio.
Potrai realizzare la tua autodeterminazione se vinci. E dunque gioca.
L’educazione inclusiva vuole innovare riferendosi a un individuo sociale.
Innovare perché tutto è cambiato dal trionfo, direbbe il sociologo Franco
Cassano, da una narrazione che ha cancellato la società imponendo l’individuo.
Questa narrazione riguarda la scuola (i genitori assediano il singolo
insegnante per essere sicuri che il proprio erede abbia tutto il programma
completo e senza ostacoli dati da agenti atmosferici che costringono a
stare a casa qualche giorno per neve e ghiaccio, come dovuti alla presenza
di chi ha bisogni speciali…), il lavoro (inutile invocare il mondo del
lavoro di anni fa. Il lavoro è fatto di contratti individuali che non
alimentano solidarietà ma competizioni individuali, progetti individuali,
ecc.), i servizi (raggiungere la risposta attraverso amicizie, spettacolarizzazioni
della propria condizione attraverso giornali e mezzi televisivi, in un
crescendo che va dal giornale locale alla trasmissione televisiva su un
canale nazionale…).
L’educazione inclusiva deve attingere dal passato, compresa la sua origine
dovuta ad un amore ancillare. Ma deve innovare senza nostalgie di un passato
che non tornerà. Ha il dovere di essere appassionata di futuro, incontrando
e lavorando con tutti coloro che sono appassionati di futuro.
Questo vuol dire progetto. Nel progettare, l’autodeterminazione
del singolo sta nell’autodeterminazione dello stesso progetto.
L’integrazione, nella prospettiva inclusiva, non vuole conservare nel
presente chi ha Bisogni Speciali. Vuole che sia nel futuro comune.
|